domenica 20 febbraio 2011

Adriatico




Il Venerdì Santo del 1997 due unità della marina italiana, cercando di contrastare un naviglio pieno di migranti albanesi, ne causarono per errore l'affondamento e, così, la morte di 58 dei 92 occupanti. Si trattava della seconda migrazione di massa dall'Albania: la prima era avvenuta pochi anni prima, alla caduta del regime comunista; questa era causata dalla crisi delle società finanziarie che avevano promesso ai neofiti del capitalismo una via indolore, o quasi, al benessere.
Per noi italiani si trattava di avvenimenti quasi incomprensibili, che ci mettevano a contatto con un mondo che non conoscevamo e che, probabilmente, non volevamo conoscere. Anche le reazioni della politica italiana furono apparentemente paradossali: il governo di centrosinistra stabilì, assai controvoglia, un mini-protettorato a Tirana per frenare il crollo dello stato albanese; il leader dell'opposizione di centrodestra si pronunciò per l'accoglimento illimitato dei migranti albanesi.
Negli anni successivi spiaggiarono sulle nostre coste anche sigarette di contrabbando, giovanissime prostitute, armi da guerra, droga; ma soprattutto muratori e manovali, una parte del ceto medio albanese e pure un gran numero di giovani intelligenti e motivati, tra i quali c'erano alcuni che sarebbero stati tra i miei migliori studenti a ingegneria.
Avevo l'impressione allora, e ce l'ho anche adesso, che gli albanesi siano molto più informati su di noi di quanto noi lo siamo su di loro. Ciò è legato alla relativa egemonia italiana sull'Adriatico: i popoli egemoni vengono scrutati con più attenzione di quanto loro stessi non scrutino i loro vicini. Gli indiani istruiti, si sa, si trovano perfettamente a loro agio con Sheakespeare e con l'inglese; non altrettanto si può dire degli inglesi istruiti con l'hindi e con il Mahabharata.

La rotta tra l'Albania e la Puglia faceva parte nell'antichità romana del percorso tra Roma e l'Egeo: la via Egnatia conduceva da Costantinopoli a Durazzo, quindi, attraversato l'Adriatico in uno dei punti più stretti, si approdava nello strategico porto di Brindisi, terminale orientale della via Appia. Durazzo, Brindisi e la rotta avevano una storia più antica, e hanno -dicevamo- una loro attualità.
Dopo decenni di resistenza sotto la guida di Skanderbeg, l'Albania soccombette nel 1478 alla fortissima pressione ottomana, diventando il paese bi-religioso che è ancora oggi (dopo la breve parentesi dell'ateismo di stato). L'annessione all'impero ottomano, però, fu all'epoca traumatica: una moltitudine di migranti cristiani prese la via dell'Italia. Alcune di quelle comunità, isolate nelle montagne del meridione, ancora sopravvivono, anche linguisticamente: Piana degli Albanesi in Sicilia, Barile in Basilicata e altre.



Assieme ai fedeli, anche le icone attraversarono il canale di Otranto. Il 25 aprile del 1467, a Genazzano, nel feudo della famiglia Colonna, si materializzò un'icona venerata a Scutari. Apparve su un muro del santuario agostiniano della Madre del Buon Consiglio, portatavi da due pellegrini albanesi che l'avevano sottratta al saccheggio turco attraversando l'Adriatico a piedi.
Questa storia l'ho imparata qui a Dozza, nella chiesa della Pianta, un tempo legata a un monastero agostiniano ora scomparso. Mi trovavo lì, casualmente, nel giorno in cui si portava in processione l'immagine della Madre del Buon Consiglio conservata nel nostro comune. Don Andrea mi permise gentilmente di curiosare nella canonica, dove una vecchia stampa appesa aL muro narra, per l'appunto, la storia dell'icona.



Di attraversamenti adriatici, albanesi e icone la Romagna conserva un'altra testimonianza a Fornò, appena a Est di Forlì. Tra le tante, la versione della storia che preferisco è questa: Pietro Bianco, pirata di Durazzo, fece naufragio in Adriatico e si salvò aggrappandosi a un'icona. Spiaggiato in Romagna, si convertì pienamente e divenne eremita; fondando il Santuario di Santa Maria delle Grazie. Il santuario ha una singolarissima architettura circolare e riporta, sul portale d'ingresso, la data della fondazione (1450) a opera di Bianco da Durazzo. Prima di visitarlo, potreste voler consultare questa storia del santuario, che riassume una conferenza del prof. Riccardo Lanzoni, autore di una monografia sul tema.

L'8 settembre del 1943 il soldato Dante Ansaloni, mio prozio materno, si trovava convalescente in Italia, in procinto di ripartire per il suo reparto, in Albania. Il paese era stato occupato e annesso all'Italia nel 1939; un'impresa minore che, come tutte quelle intraprese da Mussolini nella Seconda Guerra Mondiale, si era risolta in un umiliante disastro militare.

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