martedì 28 dicembre 2010

Appunti su Galileo 3


Breve cenno sulla vita e sulla personalità. Molto si sa e molto si è discusso sulla personalità di Galileo Galilei. La curiosità è naturale e si tratta anche di informazioni importanti. Il ricercatore arriva alla ricerca nel contesto del suo tempo, con le sue opportunità e i suoi condizionamenti (culturali e religiosi, ma anche economici, sociologici); ci arriva con la sua storia famigliare e con una lingua: ci arriva, però, anche con la sua personalità, con le sue personalissime idiosincrasie, con la sua maggiore o minor tenacia, con una personale varietà di spinte e ambizioni.
Ci sono in giro diverse biografie: io ho letto quella di Ludovico Geymonat (Galileo Galilei, Torino 1957, ed. Einaudi) e traggo da quella e da altro materiale trovato in rete le poche notizie che seguono.
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564, figlio di un musicista (esecutore e compositore, ma anche teorico), rampollo di una famiglia fiorentina alquanto decaduta. Avviato dal padre ai remunerativi studi di medicina, non arrivò al conseguimento del titolo, preferendo gli studi di matematica, che svolse -all'inizio di nascosto- sotto la guida di Ostilio Ricci, un discepolo di Nicolò Tartaglia.


Alla morte del padre, 1591, Galileo insegnava a Pisa con un malpagato contratto triennale, ottenuto in seguito ad alcune scoperte tecniche e ai suoi primi lavori originali (tra i quali spicca uno studio della geografia infernale in Dante). Alla morte del genitore, Galileo ereditò il ruolo di responsabile e garante delle vicende famigliari; un carico pesante che lo avrebbe seguito per tutta la vita. Fino all'epoca contemporanea, lo stato aveva un ruolo marginale nella vita sociale e l'individuo aveva, generalmente, ben poca libertà di manovra, rispetto ai nostri standard. Il ruolo oggi svolto dallo stato nella vita dei cittadini apparteneva largamente alla Chiesa, mentre il destino dell'individuo -almeno da un certo livello sociale in su- era largamente predestinato dalla sua posizione nella famiglia; spesso una famiglia assai allargata, con specifici interessi, con un decoro costoso e un oneroso senso dell'onore.
Galileo dovette far fronte alla dote per le due sorelle e sostenere il fratello e i suoi figli. Per fare tutto questo, s'indebitò pesantemente. Ciò contribuì a indirizzarlo in seguito a scegliere il datore di lavoro economicamente più generoso, mettendo in secondo piano considerazioni di altro tipo, come la libertà e la sicurezza nel ricercare e nell'esporre i risultati delle proprie ricerche. Galileo, però, queste libertà se le prenderà comunque, finendo, come ben noto, nella rete del Sant'Uffizio.
Nel 1592, Galileo assunse l'incarico di professore di matematica all'Università di Padova, alle dipendenze dell'antica e, per così dire, imperfettamente italiana Repubblica di Venezia. Vi rimarrà diciotto anni, quelli più produttivi della sua vita in termini di ricerca, se non di pubblicazioni; con stipendio, mansioni e carichi didattici crescenti. Tra le mansioni, di particolare importanza fu quella di consulente scientifico per l'Arsenale.

A Padova, Galileo mise su una "famiglia di fatto" (ciò che, all'epoca, era tutt'altro che inusuale) con Marina Gamba, da cui ebbe due figlie (che non riconobbe mai) e un figlio. Si curò di tutti, anche se -per quanto riguarda le figlie- in maniera crudelmente egoistica. Le fece recludere in un monastero alquanto povero e dimesso e le obbligò, di fatto, a prendere i voti a sedici anni; senza curarsi troppo che avessero o meno una vocazione a farlo. Anche questo era abbastanza comune nelle famiglie di anche minimo nome tra Cinque e Seicento: le doti per le figlie femmine pesavano assai sul patrimonio famigliare, e troppi figli maschi maritati potevano parcellizzarlo oltre una onorevole misura. Dietro alle figlie in soprannumero si chiudevano le porte della clausura, mentre ai maschi veniva indicata la carriera ecclesiastica.
Virginia (1600-1634), la figlia maggiore (quella del ritratto qui sopra), gli rimase però affezionata per tutta la vita, trovando anche la via di una sincera vocazione monacale. Quando morì, Galileo ne risentì grandemente. Livia, la seconda figlia, non perdonò mai al padre di aver scelto per lei il monastero.

Durante la sua lunga vita, Galileo non cessò mai di interrogarsi sulle leggi della natura (di "interrogare la natura", diceva), di scrivere i risultati delle sue indagini, di comunicarle a quante più persone possibili (usando spesso, a questo scopo, la lingua italiana, non il latino accademico degli scienziati suoi contemporanei). Era integralmente uomo: con difetti e debolezze, con astii e sospetti, con una certa tendenza a non considerare con piena attenzione la scienza prodotta da altri. Tutto ciò, però, non lo distolse mai più che tanto dai suoi obiettivi; sapere, indagare, capire, chiarire, connettere, precisare, dialogare, mettere in discussione (anche i propri risultati). Più che obiettivi, si può dire che questa fosse una modalità di vivere e agire, che lui -in maniera piuttosto consapevole- proponeva come "metodo" per la scienza nascente e per i suoi cultori. Una libertà laboriosa e critica, responsabile verso di sé e verso gli altri, fatta di lavoro individuale e di senso (critico e dialogante) della comunità: comunità dei ricercatori, ma anche comunità con gli artigiani "di finissimo discorso", comunità col popolo cittadino, comunità con la sapiente Chiesa romana.

domenica 26 dicembre 2010

Traduttore-traditore

I traduttori automatici sono sempre più efficienti e paiono essere dotati non solo di grammatica e sintassi, ma anche di semantica. E' sempre più difficile imbrogliarli, ma ci si può provare. Le traduzioni che seguono sono state fatte dal traduttore online di Google.

Dall'Amleto.

to be or not to be that is the question
essere o non essere questo è il problema
ou ne pas être là est la question
or not there is the question
o non vi è la questione
ou il ya la question
or there is the question
o vi è la questione

Breve sintesi dell'Edipo.

quella che credeva essere sua moglie, era in realtà sua madre
ce qu'il croyait être sa femme, était en réalité sa mère
what he thought his wife was actually his mother
quello che pensava la moglie era in realtà sua madre

Tunnel spazio-temporali.

arrivò prima di Carlo
ont comparu devant Charles
appeared before Charles
comparve davanti Charles

giovedì 23 dicembre 2010

Buon Natale




Sacra Famiglia, Amico Aspertini, 1515 (Pinacoteca Nazionale, Bologna)

mercoledì 22 dicembre 2010

Appunti su Galileo 2


Ingresso dell'Arsenale di Venezia, in un quadro del Canaletto.

dalla prima giornata dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla mecanica e i movimenti locali, di Galileo Galilei.





Salviati. Largo campo di filosofare a gl'intelletti specolativi parmi che porga la frequente pratica del famoso arsenale di voi, Signori Veneziani, ed in particolare in quella parte che mecanica si domanda; atteso che quivi ogni sorte di strumento e di machina vien continuamente posta da numero grande d'artefici, tra i quali, e per l'osservazioni fatte dai loro antecessori, e per quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi facendo, è forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso.
Sagredo. V. S. non s'inganna punto: ed io, come per natura curioso, frequento per mio diporto la visita di questo luogo e la pratica di questi che noi, per certa preminenza che tengono sopra 'l resto della maestranza, domandiamo proti; la conferenza de i quali mi ha più volte aiutato nell'investigazione della ragione di effetti non solo maravigliosi, ma reconditi ancora e quasi inopinabili. È vero che tal volta anco mi ha messo in confusione ed in disperazione di poter penetrare come possa seguire quello che, lontano da ogni mio concetto, mi dimostra il senso esser vero. E pur quello che poco fa ci diceva quel buon vecchio è un dettato ed una proposizione ben assai vulgata; ma però io la reputava in tutto vana, come molte altre che sono in bocca de i poco intelligenti, credo da loro introdotte per mostrar di saper dir qualche cosa intorno a quello di che non son capaci.
Salv. V. S. vuol forse dire di quell'ultimo pronunziato ch'ei profferì mentre ricercavamo d'intendere per qual ragione facevano tanto maggior apparecchio di sostegni, armamenti ed altri ripari e fortificazioni, intorno a quella gran galeazza che si doveva varare, che non si fa intorno a vasselli minori; dove egli rispose, ciò farsi per evitare il pericolo di direnarsi, oppressa dal gravissimo peso della sua vasta mole, inconveniente al quale non son soggetti i legni minori?



Battaglia di Lepanto (1571): lo schieramento della Lega Santa, sulla sinistra, è aperto da sei galeazze veneziane, seguite da una miriade di galee.

Troviamo nell'incipit dei Discorsi una delle più importanti innovazioni della scienza moderna rispetto a quella medioevale: l'indissolubilità, cioè, tra scienza e tecnica; tra l'attività del filosofo naturale e il mestiere del meccanico. Questa innovazione, che andava maturando sin dal Quattrocento, viene qui enunciata da Galileo in piena consapevolezza. Lo scienziato (Salviati) ricorre necessariamente all'esperienza di tecnici e operai dell'Arsenale di Venezia (forse la più grande industria del medioevo europeo, sicuramente il maggior singolo centro d'innovazione tecnica del continente). Non si tratta di esperienza istintiva e puramente manuale: gli artigiani dell'Arsenale non solo sono peritissimi, ma anche di finissimo discorso (dei lavoratori intellettuali, diremmo oggi).
La maniera in cui Galileo concepiva il rapporto tra scienza e tecnica è ben illustrato dalla vicenda (non del tutto lusinghiera per il nostro) di come s'arrivò all'invenzione, alla produzione e all'utilizzo del cannocchiale. La teoria delle lenti, di cui il cannocchiale poteva essere un'applicazione, era stata sviluppata da Giovanni Battista della Porta (1593) e Keplero (1604), e cannocchiali erano stati infatti costruiti in Olanda da Hans Lippershey all'inizio del '600. Avendo notizia dell'invenzione (e forse anche un esemplare), Galileo -che aveva attigua alla propria casa un'officina, con un operaio specializzato al proprio servizio- fece ne fece costruire una versione migliorata, che poi cedette alla Repubblica di Venezia, che aveva come datore di lavoro, come invenzione propria, nel 1609. Subito dopo, puntò il sua cannocchiale verso il cielo e vi vide cose che nessuno, prima di lui, aveva scorte. Come vedremo in un altro appunto, scoprì che diversi oggetti celesti erano assai lontani dalla "perfezione" loro attribuita -seguendo Aristotele- dai suoi contemporanei.
Vediamo dunque che (1) Galileo si avvaleva dell'aiuto di validi artigiani (ed era lui stesso un "ingegnere", un inventore di macchine); (2) che delle invenzioni dei tecnici considerava sia l'utilizzo pratico (intuì subito il valore del cannocchiale per la navigazione, civile e militare), che quello scientifico (a fini astronomici, in questo caso); (3) che, inoltre, si poneva sempe il problema di come una scoperta scientifica potesse essere messa in relazione, o applicata, a realizzare macchine e congegni (ciò che, per esempio, non parve interessare Keplero, che pure aveva sviluppato cognizioni di ottica ben più profonde di quelle di Galileo).

Nella stretta relazione tra scienza della natura e tecnica, espressa sopra da Salviati e Sagredo, c'è anche un importante aspetto della metodologia galileiana. In natura non sempre troviamo dei fenomeni esattamente analizzabili e quantificabili, poiché gran parte dei fenomeni che osserviamo dipendono da una molteplicità di variabili: l'osservazione, in questi casi, difficilmente ci potrà dire qualcose di preciso sul fenomeno in questione. Nel laboratorio del meccanico alle prese con la fabbricazione di una macchina, al contrario, si lavora con poche variabili, tenute strettamente sotto controllo: due ruote dentate agganciate, una canaletta rettilinea in cui passa dell'acqua... Questi fenomeni più elementari possono essere studiati con precisione e in profondità. La fiducia dello scienziato è che altri fenomeni più complessi, in natura, possano essere scomposti -almeno concettualmente- in fenomeni elementari simili a quelli visti nel laboratorio artigiano. Senza questa fiducia, s'è condannati a considerare le cose sempre nella loro totalità: per dire di esse tutto, si finisce col non dirne niente di utile e preciso (e di nuovo rispetto al senso comune).
Azzardando una conclusione, si potrebbe dire che con Galileo si passa definitivamente dallo scienziato-Dio (cioè, dallo scienziato che si chiede "come organizzerei questo pezzo di natura, se ne fossi il creatore (con dei fini teologici, ovviamente)"?) allo scienziato-meccanico ("come concepirei le leggi di natura, se volessi far funzionare questa macchina-mondo?").

(Nell'ultima parte del brano riportato, si introduce uno dei due temi dei Discorsi. Dall'osservazione empirica che oggetti perfettamente identici, se non per le dimensioni, hanno proprietà assai diverse, si parte verso una lunga e dettagliata analisi delle proprietà della materia.)

Gran parte delle opere di Galileo Glileiei possono essere svaricate da liber-liber.

venerdì 17 dicembre 2010

Una pietà a Dozza


la pietà in esposizione alla rocca

Nicola

Ieri sera è stato presentato a Dozza un libro di Roy Doliner (un'eclettica auto-presentazione dello scrittore e critico americano la trovate in www.roydoliner.com/bio.html) su un bellissimo e importante gruppo di terracotta, una pietà rinascimentale e romana. La tesi del libro è che si tratti dello studio realizzato dal giovane Michelangelo in preparazione della famosa pietà marmorea in S. Pietro e nella serata di ieri, briosa e variegata, diversi elementi sono stati portati a favore.
Più importante ancora è il fatto che la statua sarà visitabile nei locali della rocca di Dozza fino a domenica: una bella occasione per tutte le persone curiose dell'arte, della storia, o anche solo del bello in sè. La rocca, tra l'altro, offre alla statua il migliore degli scenari.

Pur non sapendo nulla di arte, ho cercato almeno di capire alcune coordinate della disputa riguardante l'attribuzione della pietà in questione. Questa s'inserisce nel percorso che dalla tradizione nordica e medioevale delle vesperbilt (pietà) giunge sino alle pietà di Michelangelo; in particolare a quella prima e giovanile che si trova in S. Pietro a Roma. Ecco qui sotto una commovente pietà borgognona di metà del '400, già fuori dal medioevo, ma apparentemente incurante di voler parere latina.


pietà borgognona, circa 1450, (foto di Brian J. McMorrow)

Detto tra parentesi, anche degli italiani, e italiani che erano stati a Roma a studiare le statue e gli affreschi antichi, finirono col preferire l'espressività anticlassica del Nord Europa. Particolarmente coerente in questa ricerca fu il bolognese Amico Aspertini, che si cimentò in pittura (e con una scultura) col tema della pietà e del compianto, senza timori reverenziali verso l'egemone stile centroitalico.


pietà di Amico Aspertini in S. Petronio, Bologna, 1519

Tornando al nostro gruppo, va a merito dell'anonimo collezionista aver riconosciuto in una terracotta devastata da secoli di approssimative riverniciature un oggetto di gran valore. Infatti, in un libro uscito nel 2007, la storica dell'arte Giuliana Gardelli proponeva per la pietà esposta a Dozza l'attribuzione ad Andrea Bregno (Val d'Intelvi, 1418 circa – Roma, settembre 1503: un mastro comacino, quindi, di quelli che da secoli avevano corso la pianura padana costruendo e scolpendo, e che avrebbero continuato a farlo: il nostro imolese Cosimo Morelli era figlio d'un mastro comacino). Il Bregno si sarebbe così fatto terminale di una tradizione nordica, che avrebbe poi passato al giovane Michelangelo; che da quel gruppo -che traduceva in latino la meditazione tedesca sulla morte del Cristo e sulla relazione tra Madre e Figlio-avrebbe tratto ispirazione per la pietà vaticana. Un'intervista alla Gardelli si trova in http://blog.riviera.rimini.it/antonio_montanari/.


la pietà di Michelangelo a S. Pietro, circa 1497-99

Quindi abbiamo la successione:
vesperbild nordiche -> terracotta del Bregno -> pietà di Michelangelo.
Una prova documentaria utilizzata dalla Gardelli è una lite giudiziaria tra due eredi di Michelangelo, da cui sappiamo che il Buonarroti possedeva la pietà in teracotta; che avrebbe quindi ricevuto in dono dal Bregno.
Ora, Doliner propone di interpretare diversamente lo stesso documento utilizzato dalla Gandolfi. La pietà in terracotta sarebbe un modello realizzato dallo stesso Michelangelo, uno schizzo tridimensionale in preparazione della pietà marmorea del Vaticano. La serie, secondo Doliner, sarebbe quindi:
vesperbild nordiche -> terracotta del Michelangelo -> pietà di Michelangelo.
Oltre al già utilizzato documento testamentario, Doliner s'avvale di alcuni indizi tecnoscientifici (datazione al carbonio, analisi delle terre utilizzate...).

Qualcuno potrebbe essere stimolato dall'esposizione della pietà contesa ad andare a vedere quello che di Michelangelo si conserva a Bologna.
A S. Domenico, sull'Arca contenente le ossa del santo, vi sono tre statue del giovane Michelangelo: un angelo di poco volatile muscolatura e due statue di santi. (Un interessante esercizio per chi volesse visitare l'Arca: riconoscere le statue di Michelangelo in mezzo a quelle, anco stupende, di Niccolò dell'Arca).

Michelangelo, angelo di destra sull'Arca di Niccolò, S. Domenico a Bologna, 1494-95 (foto di Marco Ravenna)

Come scolpiva il Bregno? In rete si trovano diversi sui lavori. Ne riporto qui sotto uno (ancora quasi gotico il modo di sedere della figura centrale), la cui immagine era di buona qualità.


San Pietro in Vincoli, Andrea Bregno, 1465

Il lavoro degli storici dell'arte, soprattutto nella loro funzione di attribuire un'opera a questo o a quell'autore, è un mestiere dalla epistemologia particolarissima; simile a quella delle altre scienze che si occupano di fenomeni irripetibili e non ricostruibili, che conosciamo solo attraverso una rete d'indizi. E' un lavoro investigativo dove tecnica e sensibilità si mescolano in maniera indistricabile. Una nuova tecnologia può confutare definitivamente un'attribuzione (con una datazione precisa, o l'analisi di un materiale), ma quasi mai la può confermare con certezza. Alla fine di una lunga e laboriosa istruttoria, il giudizio finale è affidato a un quasi impalpabile intuito. (Quando riconosciamo un volto tra mille, del resto, fcciamo proprio questo, nel nostro piccolo; e non si sa ancora bene come riusciamo a farlo, a livello neurologico).
E' un pò come il lavoro del paleontologo, che assegna un osso a una specie e inserisce questa in un rado albero (o un cladogramma) di specie definite da altrettanto scarsi resti ossei. O come il filologo che ricostruisce la corretta cronologia e diramazione di un testo conosciuto attraverso diversi codici manoscritti. O come il medico legale, che deve ricavare una storia credibile "al di là di ogni ragionevole dubbio" da parte di una giuria popolare.
Sono mestieri in cui, in definitiva, quello che conta è il prestigio dell'esperto, che produce il consenso della comunità degli altri studiosi. Un prestigio fatto di esperienza, di studi, di intuito e di una deontologia professionale a prova di ogni possibile sospetto.


Elisabeth Daynès ricostruisce il volto di un ominide

lunedì 13 dicembre 2010

Appunti su Galileo 1

Nicola



Appunti su Galileo e il Dialogo sui Massimi Sistemi, per una presentazione da tenere a primavera per l'associazione Incontri. Li lascio qui per non perderli, ma anche per chi volesse darci un'occhiata.




Se si vuole capire il ruolo della rivoluzione copernicana, bisogna prima calarsi nel mondo pre-copernicano e coglierne la necessità.

E' luogo comune che la Terra, il nostro pianeta, ruoti attorno al Sole seguendo un'orbita quasi circolare. Nel luogo comune viene anche spesso derisa l'antica convinzione che, al contrario, sia il Sole a girare attorno alla Terra. Eppure, tutta la nostra vita quotidiana offre abbondanti prove a sostegno della seconda ipotesi; mentre, al contrario, a favore della prima, quella in cui crediamo fermamente, non abbiamo quasi argomenti.
A pensarci bene, è anche difficile spiegare cosa voglia dire che l'oggetto T ruota attorno all'oggetto S. Ecco di seguito alcuni tentativi di chiarire questo semplice concetto.
a)T mantiene, nel tempo, la stessa distanza da S. Problema: se T mantiene la stessa distanza da S, allora S mantiene nel tempo la stessa distanza da T: il ruolo di S e di T in questo ragionamento è identico; non possiamo dire chi gira attrorno a chi.
b)S sta fermo e T mantiene, nel tempo, la stessa distanza da S. S ha, questa volta, un ruolo privilegiato. Nascono però due problemi. Cosa vuol dire che S è fermo? Se anche T stesse “fermo” (mantenendo quindi, nel tempo, uguale distanza da S), potremmo ancora dire che “ruota attorno a S”? Il primo problema chiede di trovare dei riferimenti assoluti (cioè, che non siano relativi agli oggetti T e S), rispetto a cui misurare se gli oggetti S e T siano in movimento. Il secondo problema chiede di descrivere più precisamente un moto circolare tra tutti quelli che può compiere un oggetto T che mantenga da S una distanza costante: le distanze non bastano più, occorre parlare di angoli.




Valzer: chi gira attorno a chi?



Se nella vita quotidiana non ci poniamo di questi problemi, è perchè un punto di riferimento assoluto (rispetto alla quotidianità delle nostre occupazioni) lo abbiamo, ed è la terra su cui poggiamo i piedi. Questo riferimento s'impone sia per la sua dimensione rispetto alla nostra, che per la comune esperienza che, per muoversi sulla superficie terrestre, occorra fare uno sforzo (ma qual'è, esattamente, la natura di quello "sforzo"?).
Non solo: l'esperienza ci dice che tutte le cose, lasciate libere (e in assenza di vento!), tendono a muoversi perpendicolarmente alla Terra: verso il basso, se più pesanti dell'aria, e verso l'alto se più leggere (un'esperienza, quest'ultima, non troppo frequente nell'antichità).
La Terra, quindi, ha un ruolo privilegiato nelle nostre osservazioni, oltre che nella nostra vita, ed è pura follia, pare, cercare di scalzarla da esso. Per farlo, cioè, occorrono ottime ragioni; una necessità impellente.

Le ragioni per tenere la Terra al centro sono di due tipi: (i) è il sistema di riferimento a noi naturale; (ii) è il sistema privilegiato dal punto di vista della fisica dei fenomeni terrestri.

sabato 11 dicembre 2010

S. Donnino a Fidenza




Nicola


Se si dovesse trovare un santo protettore per la via Emilia, la mia scelta cadrebbe su Donnino, martire e santo on the road. Le notizie sul santo, scarne e di molto posteriori, non danno indicazioni sulla nazionalità del cittadino romano Donnino. Sappiamo però che Donnino era un importante funzionario presso Massimiano (250-310), augusto d'Occidente (286-305) al tempo in cui Diocleziano, ferocissimo persecutore dei cristiani, era augusto d'Oriente. La corte si trovava in Gallia, ai confini della Germania, quando Donnino, convertitosi al cristianesimo, chiese all'imperatore e ottenne di poter lasciare con altri cristiani il servizio, per poter praticare liberamente la fede. Massimiano, però, ebbe un ripensamento: Donnino si trovò a fuggire, inseguito dalla guardia imperiale. Passate le Alpi, attraversato il Po, si vide rifiutato asilo a Piacenza, che tenne chiuse le porte della città. Proseguì la sua cavalcata lungo l'Emilia, ma fu catturato e immediatamente decapitato presso l'odierna Fidenza, appena a Nord del torrente Stirone. Possiamo solo immaginare il raccapriccio e il terrore dei suoi carnefici quando il corpo del martire s'alzò, prese la propria testa tra le mani e attraversò il torrente, per adagiarsi definitivamente sulla riva meridionale.
Il luogo della sepoltura diventò un santuario e il municipio romano di Fidentia, lì accanto, riemerse dai secoli bui un pò prima dell'anno mille col nome di Borgo San Donnino, che conservò fino a quando, nel 1927, in pieno revival neo-imperiale, lo si volle ribattezzare Fidenza.
Sulla facciata del Duomo di Fidenza, l'Antelami e i suoi aiuti rappresentarono la storia di S. Donnino in una bellissima fascia di bassorilievi. S'era tra il 1180 e il 1200, anni in cui l'Europa e l'Italia fervevano di attività, idee, conflitti, progetti. Borgo San Donnino era un importante snodo della via francigena che lì, come il martire in fuga, finiva il suo tratto di percorso sull'Emilia. Scegliendo la maniera in cui rappresentare ai pellegrini la vita del santo, s'erano valorizzati gli elementi del viaggio, compreso l'attraversamento delle Alpi, che nei pellegrini doveva essere memoria recente. Dalle Alpi, del resto, venivano l'Antelami e i suoi mastri comacini. Possiamo addirittura ipotizzare che il percorso del martire sui bassorilievi sia una figura di quello compiuto dai pellegrini provenienti dalla Francia; che Borgo San Donnino, quindi, proponesse sè e il suo martire come figure di Roma e delle sue reliquie.
Tornando l'Europa a una dimensione unitaria, pur con tutte le sue contraddizioni, e ottimisticamente, talvolta arrogantemente proiettata verso il mondo, anche l'iconografia sacra privilegiava la dimensione transnazionale, in continuo movimento, anti-etnica, che era stata propria dell'impero romano al suo apice.


In questo sito bellissimo e dinamico trovate tutti i bassorilievi del Duomo di Fidenza, corredati da dettagliate spiegazioni storiche e iconografiche. Qualche anno fa, per il blog di cinema di Primo Casalini, un carissimo amico, scrissi una descrizione dei bassorilievi in forma di film.



La maniera più comoda ed economica per visitare Fidenza è prendere un treno regionale da Imola o Castel S. Pietro. Il duomo è a circa mezzo chilometro dalla stazione di Fidenza, dall'altra parte del centro. Accanto a l duomo c'è anche l'ottima Antica Trattoria il Duomo. Quando ci andai, seduto a un tavolo c'era Gene Gnocchi che leggeva il giornale. Appresi in seguito che la trattoria è quella della sua famiglia.