lunedì 31 gennaio 2011

Atlante della luce


Il nostro senso più prepotente, la vista, consiste in un complesso apparato per rilevare la luce ed elaborare l'informazione luminosa in base a diversi parametri. Prendiamone uno: la diversa lunghezza d'onda è quella che, variando, ci dà l'informazione "colore". Dal punto di vista della fisica, le lunghezze d'onda variano con continuità: non c'è una barriera netta che separi i "rossi" dagli "arancioni". I recettori della retina, invece, aggregano (negli umani e in altri animali) le frequenze che vengono percepite in "zone", che corrispondono ai colori che percepiamo (la sensazione di "rossità", di "verdezza"...). L'intervallo delle frequenze visibili è un piccolo segmento sulla retta delle possibili frequenze "luminose" (onde elettromagnetiche): alcune frequenze che noi non percepiamo, vengono invece percepite da altri animali, che hanno quindi una vista del mondo leggermente diversa dalla nostra. (Va detto che le frequenze sono solo una parte dell'informazione luminosa che i nostri sensi ricevono ed elaborano: i nostri occhi e il nostro cervello sono anche fatti per organizzare il mondo percepito secondo linee, contorni, tessiture dell'immagine, movimenti... Un minuscolo oggetto in movimento nel campo visivo viene -e non è difficile immaginare delle buone ragioni perché ciò accada- percepito con maggior immediatezza di tutta una serie di oggetti fermi).
Questo lungo discorso per introdurre un breve resoconto della conferenza del prof. Peter von Ballmoos, tenutasi domenica scorsa presso la biblioteca di Toscanella, in cui -partendo dal minuscolo intervallo della luce visibile- s'è fatto un viaggio lungo la retta delle frequenze elettromagnetiche per vedere chi sono, cosa le emette, cosa ci dicono sull'universo e sulla storia degli oggetti che lo abitano. La sala della biblioteca era piena, nonostante il tempaccio che poco invitava ad uscire. Eravamo in tanti a voler poter dire, lunedì mattina:

Io ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi… [...] Ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser…

Ballmoos ci ha premiato con un'esposizione divulgativa, ma rigorosa, con delle belle immagini e con delle ancor più affascinanti storie di vita e morte cosmica. Nell'immagine che vedete sopra, per esempio, uno "zombie" cosmico, una non-morta stella di neutroni, ha agganciato una stella luminosa con la sua forza gravitazionale. Gli zombie, si sa, sono cannibali: la stella di neutroni "mangia" gas della stella luminosa. Precipitando nel campo gravitazionale dello zombie, il gas si surriscalda, emettendo radiazioni ad altissima frequenza (cortissima lunghezza d'onda), quali sono i raggi X. Gli osservatori a raggi X, cercando nello spazio, testimoniano, per l'appunto, di queste cosmiche epopee.
All'altro estremo delle frequenze misurate dagli strumenti, Ballmoos ci ha mostrato il brodo luminoso -distribuito uniformemente, ma non omogeneamente, nell'universo- della celebre "radiazione a 3 kelvin" (segmento delle microonde): l'eco perenne, cioè, del big bang da cui avrebbe avuto origine -secondo la teoria più accreditata- l'universo in cui viviamo.
Per ogni segmento di frequenze, Ballmoos ha fornito non solo immagini dallo spazio e storie celesti, ma anche esempi di dove -nel nostro ambiente quotidiano e terricolo- quel tipo di radiazione possa esser ritrovato.
Queste scene di nascita a microonde e di morte a raggi X ci danno un'idea di quanto la nostra visione del mondo (e anche la nostra vista del mondo) si siano allontanate dalla concezione antica e medioevale del mondo celeste incorruttibile. Abbiamo fatto un bel pò di cammino sulla strada indicata da Galileo, che dei luoghi incorruttibili, nel cosmo, non sapeva che farsene; anche perché, giustamente e molto modernamente, preferiva il mondo corruttibile, dove c'è moto e c'è vita:

«Questi che esaltano tanto l'incorruttibilità, l'inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d'incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar più perfetti che non sono.»



domenica 30 gennaio 2011

Breaking news: Medio Oriente



Se sapete l'inglese e cercate informazioni fresche sulla sorprendente e importante serie di rivoluzioni politiche in Medio Oriente, la fonte migliore è -come spesso in Medio Oriente-
Al Jazeera. L'accento è del tutto british, gli inviati speciali sono ovunque e il governo egiziano, accorgendosi che la copertura di Al Jazeera è troppo estesa e puntuale, ha ritirato all'emittente il permesso di trasmettere dall'Egitto (l'emittente s'è rifiutata di obbedire).
[Essendo io piuttosto abitudinario, comunque, la BBC, da cui -tra l'altro- provengono gran parte dei reporter e dei quadri di Al Jazeera, rimane la mia finestra preferita sul mondo. In italiano, una fonte eccelente è Rainews24].

venerdì 28 gennaio 2011

Limericks e favole IV



Cannuccia, shampoo e acqua del Ticino,
fa bolle senza sosta il mio bambino:
volano sferiche,
leggere e angeliche;
l'han soprannominato Bollicino.

Ovvero,

Cannuccia, shampoo e acqua della Drina,
fa bolle senza sosta la bambina:
volano sferiche,
leggere e angeliche;
l'han soprannominata Bollicina.

dal Mazapegul




mercoledì 26 gennaio 2011



Domenica 30 gennaio 2011 dalle 16.30, presso la Sala Polivalente della Biblioteca di Toscanella (Toscanella di Dozza, nella nuova piazza),

il prof. Peter von Ballmoos

del Centre d’Etude Spatiale des Rayonnements a Tolosa ci viene a mostrare e parlare di cosmologia contemporanea. Sulla sua pagina web trovate, assieme ad altri interessanti articoli espositivi, un petit atlas de la lumière (in pdf), che immagino sia la base della presentazione di domenica.
La cosmologia contemporanea, per il quasi nulla che ne so, è una continua sfida al senso comune: al di là della curiosità, è difficile parlare di Natura con cognizione senza informarsi un minimo su quello che gli scienziati vanno trovando nel cielo sopra di noi. Raccomando a tutti i miei pochi lettori di prendere parte a questa iniziativa di Incontri, che si preannuncia di qualità veramente altissima (ne approfitto per ringraziare Ezio Caroli che ha organizzato la conferenza).

IMPORTANTE: il materiale che ho messo in link è in francese, ma la conferenza sarà in purissimo toscano!

martedì 25 gennaio 2011

Strade transappenniniche della nostra zona


Le vie Francigene e Romee tra Bologna e Roma, a cura di Paola Foschi, volume pubblicato dall'Assessorato al Turismo della Provincia di Bologna, Bologna, 1999, pp. 112

La nostra vita quotidiana si svolge, per la più parte, sull'asse Nord-Ovest/Sud-Est della via Emilia e delle sue varianti d'epoca industriale (l'A14, la ferrovia Bologna-Bari). Ci fu un tempo in cui, essendo sempre l'Emilia l'asse portante della zona, un pettine di sentieri, piste e tratturi la collegavano col crinale tosco-emiliano e, da lì, con Arezzo, Pistoia, Firenze, Roma. Sopravvivenze notevoli di queste strade li s'incontrano qua e là sulla collina: dogane papali e del Granducato di Toscana; castelli e torri che controllavano, a diversa profondità, i crinali e le valli; monasteri dove il pellegrino (e non solo il pellegrino) poteva passare la notte in sicurezza e mangiare una minestra.
Un bel librino che m'è capitato sottomano di recente racconta proprio di queste vie, specializzando la narrazione e il repertorio a quelle che attraversavano l'Appennino partendo dal tratto di via Emilia che attraversa la provicia di Bologna. Questi itinerari, alcuni dei quali di epoca preromana, altri di epoca imperiale, vengono visti dal punto di vista interessante e vitale del pellegrinaggio verso Roma, che inserì le piste, in diversi periodi storici, nella direttrice Francigena (se vogliamo privilegiare il punto di partenza) e Romea (dal punto di vista della meta). Questi percorsi, di cui il libro dettaglia non solo la storia, ma anche le tappe, ordinano e spiegano un gran numero di castelli, borghi, monasteri e edifici della nostra zona. Con grande semplicità di linguaggio, ma anche con grande profondità storica, si racconta la vita quotidiana del pellegrino, s'accenna alla conversione spirituale che metteva su percorsi lunghi e pericolosi persone che, nella loro quotidianità, difficilmente viaggiavano più in là della città più vicina al villaggio di residenza. Il punto di vista del pellegrinaggio cristiano era, al momento della pubblicazione del libro, reso ancor più attuale e urgente dall'incipiente Giubileo del 2000.

Pista di crinale sul tracciato della Flaminia Minor.

Due almeno di queste vie interessano il territorio a noi prossimo e una terza, appena accennata, lo attraversa. A Ovest di Toscanella, partendo più o meno da Ozzano, una pista di crinale ripercorreva -più o meno fedelmente- la Flaminia Militariis (o Minor), coeva della via Emilia, che doveva servire a far comunicare le nuove provincie galliche della pianura Padana con il centro militare-amministrativo di Arezzo, antico centro della Toscana romana. Si tratta di un percorso affascinante, il cui tracciato consiste oggi in gran parte, almeno fino al confine regionale, di sentieri e sterrati che s'innestano, presso il Sasso San Zenobi, sulla strada asfaltata per il passo della Raticosa.
Come gran parte della piste di montagna antiche e, ancor più, medioevali, la pista segue una serie di crinali. Non solo perché, in genere, la pendenza massima di un crinale è inferiore a quella di una fondovalle, che alla fine della valle si trova di regola di fronte a una ripida e lunga rampa; ma anche perché le piste di crinale incontrano meno corsi d'acqua e hanno meno probabilità di essere interrotti da frane. Si aggiunga a ciò che, nell'Alto Medioevo, piane e valli erano corse da eserciti in guerra predatoria, per cui le città e borghi che le piste dovevano attrraversare s'erano spostati su poggi e creste di crinale, più facili da difendere. Inoltre, il collasso delle opere civili romane, molte rese inservibili, altre addirittura sparite, aveva lasciato guadi e attraversamenti senza ponti e le strade senza un servizio di ingegneri a ripararle da frane e allagamenti.

Lungo la via Montanara, a monte della vena del gesso, il fiume ha scavato nella formazione marnoso-arenacea, in questo punto contorta e addirittura rovesciata dalle forze tettoniche.

Un'altra strada notevole è la Montanara, lungo la valle del Santerno fino a Tossignano, quindi sul crinale tra Santerno e Senio fino a Castel del Rio, poi attraverso la dogana granducale di Castiglioncello, oggi in rovina, verso Firenzuola, infine a Firenze attraverso il Mugello, dopo il passo del Giogo. Questa strada, nel tracciato odierno SP610 fino al confine regionale (e oggi tutta nel fondovalle), ha conservato la sua funzione di comunicazione tra Romagna e Mugello, permettendo a gran parte delle comunità montane e dei manufatti che la costeggiano di mantenersi in buono stato (a parte quelli andati perduti durante l'ultima guerra, qui particolarmente feroce e distruttiva). Notevolissimo tra questi è il ponte degli Alidosi sul Santerno presso Castel del Rio (1499), uno dei più belli d'Italia, secondo la mia opinione. Si spiega, il ponte, solo facendo riferimento a un tracciato della Montanara diverso da quello attuale (che, potenza della moderna ingegneria, passa senza problemi sopra un orrido appena prima del paese). Sempre a Castel del Rio, il bel palazzo degli Alidosi ci fa vedere, senza dover troppo viaggiare, quanto lo stile fiorentino nel fortificare differisse da quello trozzo e romagnolo, ben testimoniato dalla nostra rocca di Dozza.

La terza via di crinale, in mezzo a queste due, è quella che, partendo dalla nostra collina in corrispondenza di Monte del Re, percorre il crinale tra Sellustra e Sillaro fino alla cime della valle, nei pressi di Gesso. Si tratta di un sentiero piacevole e panoramico, percorribile anche in mountain bike, almeno fino al punto in cui degli allevatori hanno messo un recinto in mezzo alla pista, di fatto interrompendola. Questo percorso, che per un lungo tratto si trova sotto l'occhio vigile della rocca di Dozza, conserva alcune tracce delle infrastrutture poste su questa pista minore, ma utilizzata. Certamente il monastero di Monte del Re, ma anche la rocca di Fiagnano, che domina il burrone calanchivo che sovrasta l'area del ristorante Sellustra.
A un paio di chilometri da Monte del Re, questa pista diventa uno stretto sentiero sulla cresta d'un fragile calanco, colonizzato da artemisie e altre piante aromatiche e talvolta percorso da daini; un piccolo angolo selvaggio a due passi da Toscanella.



venerdì 21 gennaio 2011

Statistica e verità II


Lo scaltro Shakuni, dei Kauravi, con un dado truccato spoglia Yudhishtira di ogni bene, diritto e libertà; costringendo così il clan dei Pandava all'esilio. (Dal Mahabharata di Peter Brook).




Ecco qui alcuni commenti e considerazioni sulle situazioni di cui scrivevo nel primo post "statistico".

(1) Passaggi pedonali: io sceglierei, in assenza di ulteriori ragioni, di passare dove ci sono stati meno incidenti. Il senso comune, che ci guida nella vita quotidiana, è anche in questo caso un buon consigliere;... (5)... ci si chiede dunque come mai delle persone che, attraversando una strada, scelgono quella storicamente più sicura, quando giocano al Lotto vanno a caccia dei numeri "ritardatari". Infatti, o il gioco è onesto (e allora, alla prossima estrazione, il 77 vale come il 24 o come qualunque altro numero); o è disonesto, allora sorge il sospetto che -che so- il 77 sia stato escluso dall'urna (o più sottile imbroglio, come è avvenuto in passato), quindi è meglio non giocarlo.
Per fare un esempio più radicale, se la moneta del prestigiatore dà esito Croce per dieci lanci consecutivi, pensate che "ora è il turno di Testa", o che la moneta ha Croce su entrambe le facce? (Dietro il comportamento anti-razionale di tanti giocatori del Lotto c'è una distorta lettura della Legge dei Grandi Numeri, che tutto può dire, tranne che l'urna -notoriamente inconsapevole- ricordandosi delle passate estrazioni abbia un sussulto egualitario e aiuti il 77a uscire. Meglio confidare nei sogni, a questo punto.)
Anche (3) è una variazione sullo stesso tema. Se dado e lanciatore sono onesti, tutti i numeri avranno la stessa possibilità di uscire (con uguale probabilità) alla prossima estrazione. Certo, il dado potrebbe essere truccato. Memori dei passaggi pedonali, dagli esiti passati si direbbe che il dado sia truccato in modo da favorire 5 e 2, che (senza garanzie di onesto gioco) darei quindi per favoriti alla prossima estrazione.

Nel caso (2), quello del test medico, le cose sono leggermente meno intuitive (e i risvolti, diciamo così, civili sono ben più importanti che nel gioco del Lotto). Il dato epidemiologico dice che il leprecaunismo colpisce un individuo su 4 milioni. Questo vuol dire che, se somministrate un test che non dà mai esito positivo (un flacone d'acqua schietta), questo test fallirà in un caso circa su 4 milioni (quello del'individuo malato). Quindi, il test A -apparentemente più attendibile- potrebbe benissimo essere (e forse è) acqua schietta.
Torniamo indietro e cerchiamo di capire cosa vogliamo dal test; quali sono quindi i dati statistici che c'interessano. Noi siamo interessati a scoprire i casi di malattia con ragionevole certezza. Il dato più interessante, quindi, sarà dato dalla percentuale dei casi di malattia in cui il test, fallendo, ci dà esito negativo. Siamo invece disposti a tollerare un ragionevole numero di casi in cui il test dà esito positivo, pur in assenza di malattia. Vogliamo avere quindi due dati: percentuale di casi di malattia non rilevati come tali (il dato che vogliamo più piccolo possibile); percentuale di casi di non malattia rilevati come di malattia (un dato che vogliamo sia ragionevolmente sotto controllo). I dati che ci forniva il problema non ci danno alcun ausilio per fare la nostra scelta.
Questo esempio mi ha fatto anche riflettere sulla maniera in cui i media presentano alcuni casi di malasanità. Si presentano come ugualmente (scandalosamente) nocive diagnosi incorrette di sanità e di malattia. Il fatto è che il medico ha il compito primario (e il paziente ha l'interesse primario che il compito sia ben assolto) di trovare e debellare la malattia. Il danno maggiore proviene dal non rilevare (quindi non curare) la patologia: il danno psicologico di una (temporanea) diagnosi di malattia, in realtà inesistente, esiste, ma è di ordine inferiore rispetto al primo.

Nel caso (6), correrei a vedere le ragioni dello scambio euro-dollaro nell'anno precedente al discorso del monarca. Non sarei stupito di scoprire che il dollaro s'è deprezzato (o l'euro apprezzato) della misura indicata dal re. (L'esempio è preso dalla realtà: un importante leader europeo, effettivamente, fece quel discorso durante la piccola stagnazione del 2004-5).

Il caso (4) punta verso un indicatore diverso dalla semplice media: c'immette nel discorso sulla varianza. Non sarei stupito di trovare delle piccole scuole tra le peggiori, come tra le migliori.
Qualitativamente, e in un esempio con meno parametri, il ragionamento è questo. Immaginate di avere un gran numero di biglie (cento, per esempio), ugualmente divise in bianche e nere. Sistematele casualmente in delle urne, ciascuna delle quali contiene un piccolo numero di biglie (diciamo quattro). Non vi stupirà scoprire che alcune delle urne, del tutto casualmente, contengono solo biglie nere (il 100% delle biglie nell'urna sono nere), mentre altre conterranno solo biglie bianche.
Sistemate ora le stesse biglie in delle urne assai più grandi (per esempio, quattro urne, ciascuna delle quali può contenere venticinque biglie). Assai difficilmente un'urna conterrà biglie dello stesso colore. In nessuna urna, a meno di casi estremamente improbabili, ci saranno solo biglie nere.
Se facciamo la classifica delle urne in base alla percentuale delle biglie nere contenute, nelle prime posizioni (ma anche nelle ultime!) troveremo delle urne piccole. Quelle grandi (per la "legge dei grandi numeri", infatti) saranno perlopiù in mezzo alla classifica.
La morale è: diffidare dei discorsi pregiudiziali del tipo "piccolo è bello" (ma anche di quelli "piccolo è brutto"). Piccolo sarà bello (o brutto), ma non in base al tipo di dato che avevo presentato per questo caso.
(La teoria delle probabilità quantifica esattamente la diversa probabilità che hanno le urne piccole e quelle grandi di avere una certa percentuale di biglie nere; in base a pochi parametri dati).

giovedì 20 gennaio 2011

Limericks e favole III




Povero e solo, un lupo del Mar Rosso
chiede a chi passa una moneta o un osso.
Tiene, sul petto,
sporco un berretto:
"Metti un soldo nel Cappuccetto Ciosso".


dal Mazapegul




lunedì 17 gennaio 2011

Statistica e verità I






Alcune domande su cui si tornerà in seguito.

(1) Esistono in paese due passaggi pedonali: nel primo si sono contati diversi casi di investimento nel corso dell'ultimo anno, nell'altro no.
Quale scegliete, se dovete attraversare la strada?

(2) Siete ministri della sanità e volete adottare un test per il leprecaunismo. Il test A dà la risposta corretta (presenza o assenza della malattia) in tutti i casi, tranne che in uno su quattro milioni. Il test B, invece, fallisce in media una volta in un milione di casi. Quale test è migliore?

(3) Giocate ai dadi con un vostro amico, con un dado. I cento lanci precedenti hanno dato questi esiti:
1 (15 volte);
2 (24 volte);
3 (17 volte);
4 (8 volte);
5 (30 volte);
6 (6 volte).
Quale esito date come favorito al 101-esimo lancio?

(4) Una ricerca condotta su cento scuole trova che le prime cinque in classifica, in termine della preparazione degli studenti, sono piccole scuole con una-due sezioni; mentre le scuole più grandi tendono a essere un pò indietro rispetto a queste.
Cosa pensate di questo dato?

(5) Il numero 77 è ritardatario: non esce da sei mesi sulla ruota di Napoli.
Lo giocate la prossima settimana?

(6) Il re dell'Arcipelago della Beozia (moneta: euro) vi dice che nell'ultimo anno siete stati fortunati: in media, guadagnate il venti per cento, calcolato in dollari ("l'unica valuta seria per questi conti"); quindi, che non avete ragione (in media) di lamentarvi perché l'economia va molto meglio di quanto voi non percepiate.
Qual'è il primo dato che andate a controllare su Internet dopo aver sentito il discorso reale?



giovedì 13 gennaio 2011

Limericks e favole II



D' inverno i sette nani a Pontassieve,
dopo una nevicata molto greve,
a lei dicon d' uscire
e il prato ripulire
con pala, scopa e moto-Brancaneve.


dal Mazapegul




martedì 11 gennaio 2011

L'Unità d'Italia in un personaggio: Vito Volterra II


Dicevo di un rapporto incrinato tra italiani e monarchia, ma avrei dovuto dire di un rapporto incrinato tra gli italiani e l'élite liberale, di cui Volterra faceva parte a tutti gli effetti. La Grande Guerra, in Italia come nel resto d'Europa, ha accelerato alcuni processi (la politica di massa), ne ha innescati altri (la rivoluzione comunista in Russia, che sarebbe stato uno dei principali -e tragici- motori per la storia del secolo; la crisi degli imperi coloniali, le cui madrepatrie si trovano ora pesantemente indebitate), ha chiuso alcuni antichi capitoli europei (la fine dell'impero austroungarico e, con esso, delle ultime vestigia giuridiche del sacro romano impero; la fine, diversamente traumatica, dell'impero zarista).
Era uscito di scena Giolitti, che da conservatore (intelligente) e monarchico (scettico), aveva cercato di porre in equilibrio (in parte annullandole) le spinte delle neopoliticizzate masse cattoliche e socialiste sotto l'egemonia liberale. Nelle trincee e nei reparti d'assalto erano maturate nuove aggregazioni: l'Italia borghese, entrò in guerra, per così dire, disincantata e ancora gozzaniana, ne uscì vacuamente retorica e dannunziana. Il re e gran parte dei liberali si schierarono con Mussolini, che, senza che il primo avesse niente da dire, si sarebbe disfatto dei secondi. (Volterra, però, fu sempre nel gruppo dei liberali avversi al fascismo).
Volterra, nel frattempo, si occupava della scienza e della sua organizzazione. Dal 1919 si sforza di far istituire una sezione italiana del Consiglio Internazionale delle Ricerche, che sarà chiamata infatti Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR): vi riesce nel 1923, diventandone anche il primo presidente.
Nel 1925 Giovanni Gentile fa pubblicare il Manifesto degli Intellettuali Fascisti, che dovrebbe fare una sintesi delle basi culturali e ideologiche del fascismo. Serve anche, all'idomani del sequestro e assassinio del deputato socialista Matteotti, a riprendere il controllo dell'immagine del fascismo all'esterno dell'Italia. Su invito di Giovanni Amendola, Benedetto Croce scrive un Manifesto degli Intellettuali Anti-Fascisti, che esce simbolicamente il primo maggio dello stesso anno, con la firma di numerosi intellettuali e scienziati, tra cui Vito Volterra. (Il matematico Salvatore Pincherle, di poco più vecchio di Volterra, con simili interessi scientifici e, come Volterra, nato in una famiglia ebrea, aveva invece firmato il manifesto gentiliano).
E' anche per la sua opposizione al fascismo tranquilla e istituzionale, ma senza nessun cedimento, che Volterra viene sostituito nel 1927 alla guida del CNR da Marconi: il più fascista tra i grandi scienziati italiani (o il più grande tra gli scienziati fascisti). Nel 1931 è uno dei quattordici docenti universitari che rifiutano il giuramento di fedeltà al fascismo e viene quindi allontanato dall'università e da gran parte delle cariche che ricopriva nelle istituzioni scientifiche italiane. Il regime lo sottopone anche a sorveglianza, in Italia e all'estero. Diventa quindi scientificamente apolide, passando gran parte del tempo a Parigi e in altri centri scientifici mondiali.
Nel 1938, con le leggi razziali, viene espulso dalle ultime istituzioni scientifiche di cui are membro in Italia:
”...a datare dal 16 ottobre u.s. avete cessato di
far parte, quale Socio Corrispondente, di questo Reale Istituto, in quanto Voi appartenete a razza non ariana”.
(Ricevuta dal Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere.)
(All'Istituto di Matematica di Bologna, dopo le leggi razziali, fu tolta l'intitolazione a Pincherle, che pure era stato fascista).
Gli rimasero onori e cariche organizzative all'estero, ovviamente. Anche nella penisola: alla sua morte, fu commemorato in Italia dalla sola (extraterritoriale) Pontificia Accademia delle Scienze, di cui era stato invitato a far parte sin dal 1936. Alla fine della sua vita, Volterra veniva riconosciuto dal solo Stato della Chiesa, in cui era nato tanti anni prima cittadino con diritti dimezzati.
Nel 1944, un ufficiale tedesco si recò a casa sua per tradurlo in un campo di sterminio; ma Volterra era morto, ottantenne, già nel 1940.

domenica 9 gennaio 2011

L'Unità d'Italia in un personaggio: Vito Volterra I


Con la sua lunga vita di uomo, scienziato e figura politica e istituzionale, Vito Volterra (Ancona, 3 maggio 1860 – Roma, 11 ottobre 1940) rappresenta bene la complessità delle radici nazionali. O meglio (la metafora radici non mi è mai piaciuta, poiché rimanda a dei fantomatici DNA immutabili, nonché all'inevitabile morte della pianta delle cui radici si va parlando), il complesso ecosistema storico e culturale da cui nasce l'Italia di cui si celebra quest'anno il centocinquantesimo anniversario. In particolare, Volterra ben rappresenta i frutti della moderna e illuministica idea di cittadinanza, che in Italia è indissolubilmente legata al processo di unificazione nazionale sotto la dinastia sabauda, prima, e sotto gli articoli della Costituzione Repubblicana dal 1946 in poi.
Vito Volterra nasce nel ghetto ebraico dell'Ancona pontificia, da una famiglia poverissima, ma con parenti di ogni condizione in diverse parti d'Italia e nella stessa città portuale. Ha pochi mesi quando le truppe sabaude conquistano la città, che fa il suo ingresso (plebiscito del 4-5 novembre 1860) nel Regno d'Italia. Per quella anconetana, come per tutte le comunità ebraiche d'Italia, l'ingresso nel nascente stato unitario significa la piena emancipazione:
"La differenza di religione non porta alcuna differenza nel godimento e nell’esercizio dei diritti civili e politici. Sono quindi abolite tutte le interdizioni a cui andavano per lo addietro soggetti gli israeliti e i cristiani acattolici" .
(Dal decreto del primo Regio Commissario per le Marche, Lorenzo Valerio, emanato al momento dell'insediamento in Ancona. Il decreto ci ricorda che, nel 1860, esisteva in Ancona una piccola comunità greco-ortodossa, che, in quanto tale, non godeva di pieni diritti sotto la legge pontificia).
Le limitazioni ai diritti degli ebrei erano state di diverso tipo; alcune erano già state rimosse prima dell'annessione al Regno d'Italia. I famigliari di Vito, comunque, potevano ricordare il tempo in cui gli ebrei erano soggetti al coprifuoco permanente, costretti a rientare entro le mura del ghetto all'imbrunire. Gli ebrei non potevano risiedere, né possedere beni immobili fuori dal ghetto.
Nell'Italia unita tutte le comunità, le etnie, le fedi entravano con pari diritti; ma certo non con pari opportunità, né con gli stessi talenti. Le comunità ebraiche, escluse fin da quando ne avessero memoria dal settore immobiliare (cioè, da quella strutturale propensione a investire gli eventuali risparmi in beni solidi, che oggi assume la forma del "mattone"), avevano per secoli dato in eredità ai figli, in mancanza di palazzi e poderi: estese reti di relazioni parentali (su scala peninsualre, europea, addirittura mediterranea); titoli di studio e competenze professionali (medici, soprattutto); in ogni caso, un buon livello di alfabetizzazione, che era pregiato e posseduto anche dalle più miserabili delle famiglie ebree (forse non credevano che, come dice un importante ministro di oggi, "con la cultura non si mangia"). C'è anche un aspetto religioso, in questo: nell'ebraismo il capofamiglia svolge un ruolo di tipo sacerdotale nelle celebrazioni del Sabato e durante le numerose festività religiose. Per poterle svolgere, deve essere in grado di leggere, possibilmente anche l'ebraico.
L'infanzia e la prima giovinezza di Vito ben testimoniano delle opportunità offerte dal Regno d'Italia a chi si fosse trovato nelle condizioni di coglierle. Uno degli effetti fu che Vito rimase, fino a quando non sentì che i Savoia avevano tradito il patto con gli italiani, un monarchico fervente, acceso e talvolta anche furioso.
Dunque, Volterra rimane orfano di padre all'età di due anni e passa, con la madre, sotto la protezione e col supporto di uno zio, l'ingegnere Edoardo Almagià. Vive a Torino e Firenze, dove studia all'Istituto Tecnico, in cui incontra Antonio Roiti, professore di fisica, che lo aiuterà fino ai primi passi della sua carriera scientifica e universitaria. Lo aiuterà, soprattutto, a resistere alle pressioni della famiglia perché si affretti a terminare gli studi per un posto sicuro di contabile: il giovane Vito, che ha già dato precoci segni di serio interesse per la scienza, è ostinatamente intenzionato fin dai suoi anni di adolescente a proseguire gli studi fino alla laurea.
Per dirla in breve, nel 1878 è iscritto all'Università di Pisa, nel 1879 è ammesso alla Scuola Normale e nel 1883, a un anno dalla laurea, è già Professore di Fisica nella stessa università. Si potrebbe a questo punto approfittare dello spunto per parlare del sistema universitario italiano all'indomani dell'Unità: pochi professori, che si conoscono tutti tra di loro, con cattedre direttamente controllate dal ministero. Il discorso ci porterebbe però troppo lontano. Accontentiamoci di ricordare che, da studente, Volterra partecipò ad una (verbalmente) violenta manifestazione di giovani monarchici, avente come bersaglio i socialisti, forza all'epoca nascente in Italia e in crescita ovunque in Europa. Vito, però, non aveva simpatie né per i socialisti, né per i repubblicani: il debito di riconoscenza degli ebrei emancipati verso la monarchia era diventata, non solo per lui, sincera e giovanilmente irruenta lealtà.
Lo si vide anche quando, nel 1915, un cinquantacinquenne Volterra, matematico di fama mondiale e senatore del Regno, corre ad arruolarsi nel Regio Esercito. Farà la guerra da tecnico e inventore (a lui si deve l'idea di sostituire l'elio all'idrogeno nei dirigibili), ma poi saliva sui palloni lui stesso, per farne prova, a portata di tiro dalle linee austriache.
La Prima Guerra mondiale, in cui l'Italia fu tra i vincitori, segnò nondimeno un'incrinatura nel rapporto tra la monarchia e gli italiani: un'incrinatura forse difficile da scorgere immediatamente, con le celebrazioni della vittoria e nel mezzo dell'epidemia di spagnola; ma del tutto seria, come si sarebbe visto ben presto.

sabato 8 gennaio 2011

Calzini matematici II

Basta prendere tre calzini: due potrebbero essere di colori diversi, tra tre almeno due devono essere dello stesso colore.
Qualche giorno fa avevo posto a mia figlia il problema dei calzini. Credo di averglielo proposto in precedenza, uno o due anni fa. Lei m'ha dato prontamente la risposta esatta, poi ci ha pensato su un attimo e m'ha detto: "se le calze nel cassetto fossero di tre colori, basterebbe prenderne quattro; se fossero di cinque, sei e così via... Basta prendere una calza in più del numero dei colori."
Ci ho pensato su e ho capito che quello che diceva è corretto. Non so se abbia pensato alla generalizzazione del problema lì al momento, o se ci avesse pensato prima, o se ne abbia discusso con i suoi amichetti, o se l'abbia letta da qualche parte: i bambini tendono a essere assai evasivi quando si chiede loro di come pensano qualcosa e perché la pensano; probabilmente perché non capiscono il motivo di questo livello di riflessione, o perché questo tipo d'indagine li mette a disagio.

La piccola discussione in famiglia m'ha fatto pensare agli stimoli che i bambini ricevono da noi adulti e a come questi stimoli li possano aiutare (a porsi dei problemi, a vedere il mondo con maggior interesse, ad avere una vita interiore più ricca) o ostacolare. In che senso, ostacolare?
A volte gli adulti stimolano consapevolmente i fanciulli e si aspettano una risposta immediata allo stimolo: una comprensione in un tempo dato (come nei quiz televisivi) di quello che abbiamo in mente. Questa è la norma a scuola, necessariamente: una molteplicità di ragazzini, tutti diversi tra loro, devono reagire in tempi uniformi agli stimoli che gli insegnanti vanno ponendo, poiché l'organizzazione del tempo scolastico e i numeri delle classi non permettono che l'insegnante si adegui al tempo di ogni singolo bambino (lo farà con i ragazzini che, per un motivo o per l'altro, escono di molto dalla media della classe). Per fortuna, anche a scuola gran parte degli insegnanti ricavano degli spazi in cui gli stimoli possono essere recepiti secondo i naturali tempi mentali dei bambini, più che secondo i tempi del metronomo ministeriale.
Anche noi genitori (e zii, nonni, fratelli maggiori...) abbiamo a volte la tentazione di impostare "scientificamente" la stimolazione dei bambini, come se la casa fosse il prolungamento della scuola. (Mi sono spesso pentito di alcune mie scelte in questo senso).
Gli stimoli dovrebbero servire, infatti, a permettere a ogni fanciullo di esprimere (quindi di formare) la propria personalità. Alcuni di questi stimoli trovano pronta ricezione, altri vanno perduti, altri ancora rimangono in apparente dormienza e ritornano a galla quando meno ce lo aspettiamo: sono in genere quelli che, al di là delle nostre intenzioni, risultano essere più fruttiferi. Uno stimolo sepolto e germogliato a nostra insaputa vale doppio, soprattutto, per il fanciullo, emotivamente.
La mia esperienza da adulto, del resto, conferma l'esperienza che vedo fare ai più piccini. L'apprendimento è fatto di tentativi ed errori e, soprattutto per le cose più difficili e nuove, sapere quando non pensarci è importante tanto quando sapere quando pensarci; dimenticare è altrettanto importante che ricordare. Costruire un pensiero nuovo, spesso, richiede di dimenticare dei pensieri vecchi.
Per diversi anni mi sono occupato di un certo problema con dei colleghi, senza mai riuscire a risolverlo. Ogni volta che ci provavamo, andavamo automaticamente verso una certa complessa strategia di soluzione che, sapevamo bene, in linea di principio non poteva funzionare. Eppure, quella strategia sbagliata era sempre il nostro punto di partenza, che cercavamo invano di aggiustare. Per un paio d'anni lasciammo il problema da parte: troppo difficile. Una volta che c'incontrammo per discutere di altri problemi, decidemmo di riguardare anche a quello abbandonato tempo prima. La notte prima dell'incontro, in albergo cercai di ricostruire la formulazione esatta del quesito, che non ricordavo. Dopo qualche tentativo a vuoto la trovai e, con essa, la soluzione del problema: una paginetta di conti elementari, con alla base un'idea semplice. Avendo dimenticato l'idea sbagliata, l'idea giusta s'era fatta strada da sola, in tutta la sua naturalezza.

Un altro pensiero legato al problema dei calzini e allo sviluppo ad esso dato da mia figlia rigurda la possibilità di generalizzare un problema specifico a una classe più larga di problemi (cioè, di costruire una teoria). Importante è anche il movimento opposto, in cui -per aiutarsi a costruire una piccola teoria- ci si dirige verso degli esempi, possibilmente i più semplici. Ci sarà modo di parlarne altrove.

Quanti calzini occorre tirare fuori dal cassetto per essere sicuri di avrne due bianchi? Questo secondo problema, simile al primo nella formulazione, è però del tutto diverso nella soluzione. Per esempio, la risposta al secondo quesito dipende da quanti calzini bianchi e quanti calzini neri ci sono nel cassetto, mentre la soluzione del primo quesito è quasi del tutto indipendente da questi dati.

venerdì 7 gennaio 2011

Calzini matematici I

Nel cassetto ci sono quaranta calzini, venti bianchi e venti neri, disordinatamente mescolati. Ci si alza e, al buio per non svegliare il fratellino, bisogna vestirsi per andare a scuola. Qual'è il minimo numero di calzini che bisogna estrarre dal cassetto per essere sicuri di averne un paio dello stesso colore?

mercoledì 5 gennaio 2011

Limericks e favole I



Uomo matto dell'isola di Bali,
che a piedi nudi la montagna sali:
metti qualcosa ai piedi
e ad ascoltare siedi
la storia del Matto Con Gli Stivali.

dal Mazapegul