venerdì 29 aprile 2011

Filastrocca marinara




E' arrivato un capitano
dallo sguardo un poco strano,
è arrivato con suo figlio
su uno strano, gran naviglio.
Ha degli occhi spenti e buoni
e una barba nera e folta
alla moda d'una volta,
ha dei calli sui manoni.
La sua nave vola via
sulle onde senza scia:
una cosa così strana
da parere quasi arcana.
Gli offro un fiasco di buon vino
per sentirlo raccontare
per che via, per quale mare
sia approdato qui vicino.

"Molti anni ho navigato
per l'oceano salato,
trasportando merci e genti
per i quattro continenti;
finché un giorno non fui giunto
nel Mar Nero ed a quel punto
l'equipaggio stanco morto
volle fare sosta in porto."

Beve, beve il capitano,
mentre il figlio con la mano
della barba i fili intreccia
fino a farne lunga treccia.

"Fu nel bel porto d'Odessa
ch'io conobbi quell'ostessa
di cui, presto ricambiato,
mi trovai innamorato.
Senza fretta, ma con danno,
rimanemmo a Odessa un anno.
Quale danno spiegherò
se dell'altro vino avrò."

Beve, beve il capitano,
mentre il suo catamarano,
pur essendo il mare mosso,
resta fermo, e io non posso
ben comprender come faccia:
tutto rolla, e lui in bonaccia.

"Era incinta la mia ostessa,
cittadina lei d'Odessa,
mentre io, che ero inglese
fui cacciato dal paese.
Mi cacciarono da terra
perché aveva mosso guerra
il paese ove son nato
a quel che m'avea ospitato.
Me ne andai la notte stessa,
lì lasciando la mia ostessa,
e ripresi a navigare
ed a correre ogni mare.
Feci rotta per la Cina,
poi, parendomi vicina,
mi portai in Indonesia,
poi in Birmania, poi in Malesia.
Ma non c'era porto o sosta
che non arrivasse posta:
la mittente era la stessa,
'Olga Ivanovna, ostessa':
'Sai, è nato un bel maschietto,'
mi rigiro io sul letto,
'in tuo onore, capitano,
l'ho chiamato Ivan Gabbiano.'
Sappia, infatti, che di nome
son John, Seagull è il cognome."

Beve, beve il capitano,
e il suo sguardo va lontano.
La sua mente in mar s'è messa,
si dirige verso Odessa.

"Non potevo io aspettare
che una tregua o pace vera
mi lasciasse ritornare
alla madre e locandiera.
Travestito da argentino
noleggiai un brigantino.
Non ci volle un mese intero,
ch'ero giunto al Mare Nero.
Arrivai infine a Odessa,
ritrovai la sua locanda:
stava lì sulla veranda,
allattando, la mia ostessa.
Furono giorni felici,
vidi anche i vecchi amici:
marinai, armatori,
cuochi, attrici e traditori.
Tra questi ultimi un serpente
si rivolse a un sergente
della polizia d'Odessa,
che arrivò la notte stessa.
Mi portarono in prigione,
come spia e come nemico;
quanto triste non le dico
fu lasciar la mia pensione.
Mi volevan fucilare,
ma poi furono contenti
di lasciarmi anni venti
nella torre in riva al mare.
Nella cella, poco dopo,
incontrai un grosso topo,
che assieme a un vecchio ragno,
mi fu unico compagno.
Di lì in capo a pochi anni,
per vecchiaia e malattia,
lasciai loro e i miei affanni
senza la mia compagnia.
Il mio corpo fu sepolto,
però l'anima ribelle
fu all'idea che mi fu tolto
Ivan, e uscì dalla pelle.
Mi recai dalla mia ostessa,
nel suo bar in centro a Odessa,
e convinsi lei e il figlio
a seguirmi sul naviglio.
Un naviglio che vedrete,
se degli occhi buoni avete,
nelle notti senza luna
navigare alla fortuna."

Con la manica asciugò
le sue labbra e salutò,
poi col figlio uscì sul molo;
li seguii, ma lì ero solo.
Era notte di uragano
e mi parve molto strano
tra la nebbia ed il miasma
di veder, quasi fantasma,
una nave che correva,
senza scossa, né rollio,
come fosse del mar dio,
e nel mare si perdeva.
Credermi, lo so, è duro:
al timone è il capitano,
tiene stretta per la mano
una donna in velo scuro.

dal mazapegul

domenica 17 aprile 2011

Parole e suoni: vocali



Un gioco facile, divertente per i bambini e forse anche istruttivo, consiste nel costruire delle frasi utilizzando una sola vocale; poi, di cambiare la vocale per il puro gusto fisico dei suoni che così vengono prodotti. Ecco un esempio con la E:


Se leggete ben che c’è,
ne vedrete delle E.

“Se per delle spesette sceme spende,
né le mele, né le pere le prende.”


Guarda quà, guarda là,
siam finiti nella A.

“Sa par dalla spasatta sciama spanda,
nà la mala, nà la para la pranda.”

Oh, la A non c’è più,
cancellata dalla U.

“Su pur dullu spusuttu sciumu spundu,
nù lu mulu, nù lu puru lu prundu.”

Dove siamo non lo so,
però vedo delle O.

“So por dollo sposotto sciomo spondo,
nò lo molo, nò lo poro lo prondo.”

Firulilà, firulilì,
sento suonare tantissime I.

“Si pir dilli spisitti scimi spindi,
nì li mili, nì li piri li prindi.”


Le prime due strofe sono costruite con parole contenenti la sola vocale E. Le altre si ottengono dalla seconda sostituendo alla E una diversa vocale. Lo stesso gioco può essere fatto con la I:


Dimmi, dì,
i bisticci in I.

"Tiri i birilli,
strizzi i mirtilli,
bisticci, strilli,
dipingi i nidi:
dì, di chi ridi?”

La I sparirà,
rimpiazzata dalla A.

"Tara a baralla,
strazza a martalla,
bastaccia, stralla,
dapangia a nada:
dà, da ca rada?”

La A, io lo so,
cede il posto a una O.

"Toro o borollo,
strozzo o mortollo,
bostoccio, strollo,
dopongio o nodo:
dò, do co rodo?”

Questa O, non so perché,
si trasforma in una E.

"Tere e berelle,
strezze e mertelle,
bestecce, strelle,
depenge e nede:
dè, de che rede?”

Ma le E scendendo giù
Suonan come tante U.

"Turu u burullu,
struzzu u murtullu,
bustucciu, strullu,
dupungiu u nudu:
dù, du cu rudu?”


Ecco una strofa con la A (la I appare senza suono, con il solo scopo di produrre il suono "c" dolce):


L' anatra scappa alla laccia,
la cagna la caccia.
La rana mangia l’alga,
la vacca va alla malga.
Ma sarà già nata
La cavalla alata?


Per finire, una strofetta paurosa e puzzolente:


Odo 'l toro,
odoro 'l porco;
no, non dormo
o sogno l'orco.


Come produrre le frasi? Facilissimo: si segnano su un foglio quante più parole contenenti una sola vocale; quindi si procede a scrivere, cercando di salvare sintassi e grammatica. Il senso, ovviamente, è la prima vittima del gioco.

dal mazapegul

martedì 12 aprile 2011

Geometria non euclidea


Forse meno popolare di altre rivoluzioni scientifiche, quella delle geometrie non euclidee è però legata ad altre meglio conosciute, almeno di nome. Ha un nesso stretto con la teoria della relatività generale di Einstein, per esempio. Più importante, la maniera in cui la comunità scientifica pensa oggi alla "geometria" è figlia della rivoluzione non euclidea. Avendo fatto di recente delle letture in merito, per ragioni di lavoro, ho imparato qualcosa di questa storia.
TESI. La teoria ortodossa. In principio c'è la Geometria, che è poi la teoria maturata tra Medio Oriente e Grecia classica per venir infine mirabilmente organizzata da Euclide (attivo ad Alessandria d'Egitto, a cavallo tra IV e III sec. a.C.) nel suo fortunatissimo libro, gli Elementi. La geometria del piano, per Euclide, s'incardina su pochi principi che, per accorciarne l'esposizione, enuncio in termini moderni (ottocenteschi):
(i) per due punti di un piano passa una e una sola retta;
(ii) ogni retta divide il piano in due parti;
(iii) le figure possono essere mosse "liberamente" nel piano: ruotate attorno a un punto, trascinate da una regione all'altra del piano;

(iv) se c è una retta nel piano e se P è un punto che sta al di fuori di essa, allora esiste un'unica retta b passante per P che è parallela a c.
L'elemento fuori posto. Lo stesso Euclide considerava l'affermazione (iv) (che negli Elementi appare come V Postulato) come sgradevole. Prima di introdurla, infatti, dimostra a partire da (i), (ii) e (iii) un gran numero di teoremi che non richiedono di dare (iv) per scontato. Il motivo per cui (iv) (o meglio, una proprietà ad esso equivalente) veniva considerata poco naturale è che i postulati (le affermazioni che si danno per vere senza dimostrazione) dovevano avere una chiara evidenza, vuoi empirica, vuoi ideale (vuoi aristotelica, vuoi platonica). Il V postulato, poiché richiede, per essere verificato, di considerare le rette nella loro interezza (per verificare se siano o meno parallele; cioè se si incontrino o meno), pareva non possedere questo requisito.
Per più di duemila anni vi furono tentativi di dimostrare il V postulato a partire dalle proprietà (i)-(iii). Si giunse abbastanza in fretta a concludere che, valendo (i)-(iii), almeno una parallela a c che passi per P ci deve essere. Il problema era mostrare che fosse anche unica. Provarono e fallirono, assai brillantemente, greci, latini, arabi ed europei.
Due secoli di geometria fantastica. Le dimostrazioni avevano più o meno tutte la stessa idea di partenza. Si supponeva che il V postulato fosse falso, che, cioè, per P passassero due rette parallele alla retta c. Si cercava poi di arrivare a una qualche contraddizione con le affermazioni (i)-(iii): si sarebbe così dimostrato che, se si volevano salvare (i)-(iii), non si poteva negare (iv). Cioè, (iv) è conseguenza di (i)-(iii).
Bene, negando (iv) alcuni matematici, più e meno professionali, arrivarono a delle vere e proprie mostruosità, a delle geometrie deformi e inaccettabili. E' a partire dal '600 che questo tipo di analisi inizia ad andare veramente a fondo. Quello che va più a fondo di tutti è padre Gerolamo Saccheri (Sanremo, 5 settembre 1667 – Milano, 25 ottobre 1733), gesuita e matematico. Alcune delle conseguenze che Saccheri e altri dedussero dalla negazione del V postulato sono:
(o) la somma degli angoli di un triangolo è sempre inferiore (!) a due angoli retti [Saccheri];
(a) due triangoli con i lati in proporzione sono uguali, o hanno anggoli diversi (non è possibile, cioè, ridurre un triangolo a una scala più piccola o ingrandirlo a una scala più grande!) [Saccheri];
(b) l'area di un triangolo non può superare un certo limite (finito!);
(c) dati tre punti A, B , C non allineati, non è detto che si possa far passare una circonferenza per essi.
Mostruosità dopo mostruosità, Saccheri giunse a una conclusione che gli parve "ripugnare alla natura della linea retta," e decise che lì finiva la sua opera. Probabilmente non ci credeva ed era insoddisfatto, non avendo trovato, tra tante bizzarrie, una contraddizione vera e propria. Padre Saccheri era infatti un matematico rigorosissimo.
ANTITESI. Rivoluzione! Indipendemente uno dall'altro, ma probabilmente influenzati (indirettamente) da Sccheri, un matematico russo, Nikolaj Lobachevsky (Nižnij Novgorod, 1 dicembre 1792 – Kazan', 24 febbraio 1856), e uno ungherese, Jàanos Bolyai (Cluj-Napoca, 15 dicembre 1802 – Târgu Mureş, 27 gennaio 1860), rovesciarono i termini della questione. Partirono dall'ipotesi che il V postulato di Euclide fosse falso e costruirono, in base a questa affermazione (e a (i)-(iii)) tutta una geometria non euclidea (quella oggi chiamata iperbolica); per alcuni versi simile, per altri del tutto difforme da quella classica e prestigiosa di Euclide. I mostri di Saccheri e di altri matematici diventavano così teoremi della nuova e barricadera geometria. Anche il più grande matematico di tutti i tempi, Carl Friedrich Gauss (Braunschweig, 30 aprile 1777 – Gottinga, 23 febbraio 1855) aveva mentalmente costruito la geometria non euclidea, ma non aveva pubblicato niente, per paura delle possibili polemiche, e anche i suoi numerosi taccuini non contengno uno sviluppo completo della teoria.
La decisione su quale geometria fosse quella vera sarebbe forse spettata a questo punto agli astronomi, che avrebbero potuto cercare nell'universo grandi triangoli i cui angoli sommassero meno di due angoli retti.
In realtà, tra i pochi matematici che considerarono i lavori di Bolyai e Lobachevsky, la più parte erano convinti che, negando il V postulato di Euclide, si sarebbe fatalmente prodotta qualche contraddizione; come aveva sperato del resto padre Saccheri con un gran numero di scienziati d'ogni epoca.
Non euclideo è meglio? Una delle caratteristiche più notevoli dell nuova geometria era la presenza di lunghezze assolute. E' noto che nella geometria ordinaria, euclidea, non esistono lunghezze assolute. Per questo usiamo un'unità di lunghezza convenzionale come il metro (1/40.000.000 della circonferenza terrestre all'equatore). Se la geometria fosse non euclidea, invece, delle lunghezze "assolute", cioè intrinseche allo spazio stesso (non scelte ad arbitrio), esisterebbero. Per esempio, ci sarebbe un limite massimo al raggio della circonferenza che si può iscrivere in un triangolo. Queste grandezze assolute, che diventerebbero unità di misura assolute, sono un pò il Graal dei ricercatori, dei fisici in particolari. La carica dell'elettrone e la velocità della luce sono esempi abbastanza popolarizzati. Se dell'universo c'interessa la sola Terra, allora la circonferenza della Terra all'equatore sarebbe una buona unità di misura assoluta. Ma gli umani, animali curiosi e inquieti, non s'accontentano della Terra soltanto, che hanno con Copernico escluso da ogni ruolo protagonista.
Le lunghezze assolute della geometria non euclidea sono legate alla nozione di curvatura dello spazio e, come il nome può forse suggerire, si apre qui il sentiero verso la relatività generale (e i motori dell'Enterprise in Star Trek).
Riflusso. Idealmente, si avevano due teorie contrapposte, quella euclidea e quella non euclidea, pronte a scontrarsi in campo aperto. La posta: la descrizione dello spazio. Lo spazio fisico, quello della meccanica newtoniana; ma anche lo spazio filosofico, quello che Immanuel Kant aveva stabilito, nel secolo precedente, come uno degli a priori della Ragione Pura. La realtà fu più modesta. Le geometrie non euclidee passarono quasi inosservate, la comunità matematica, scientifica e filosofica, saldamente euclidee, non si scossero più che tanto. Il conflitto si spense prima di iniziare e Lobachevsky e Bolyai precipitarono in un veloce oblio.
SINTESI. La nascita della geometria moderna. In realtà, il riflusso non era stato così completo. Bernhard Riemann (Breselenz, 17 settembre 1826 – Selasca, 20 luglio 1866), uno dei più profondi matematici di sempre, nella sua tesi d'abilitazione del 1854, su titolo indicato dallo stesso Gauss, aveva rivoltato la geometria dalla testa ai piedi. Partendo da idee che non erano solo matematiche, ma anche fisiche e filosofiche, aveva ampliato l'orizzonte da una geometria (la geometria, euclidea o meno che fosse) a un'infinita moltitudine di geometrie, tutte da tenere in considerazione; vuoi per aggiornare la descrizione dello spazio al mutare delle conoscenze scientifiche, ma anche per una molteplicità di altri utilizzi (per cui, infatti, tutte queste geometrie riemanniane vengono oggi utilizzate). Casi particolarissimi delle geometrie di Riemann erano quella euclidea e quella non euclidea.
Beltrami: il V postulato non è dimostrabile dagli altri. La tesi di Riemann fu pubblicata postuma nel 1866 ed ebbe prima d'allora scarsa eco. Eugenio Beltrami (Cremona, 16 novembre 1836 – Roma, 18 febbraio 1900), prima che dalla tesi di Riemann, fu influenzato dalla pubblicazione dei taccuini di Gauss, che lo spinsero a cercare dei "modelli concreti" della geometria non euclidea. Ciò fece in due articoli assai influenti sulla geometria a venire, pubblicati nel 1867 (sotto il segno di Gauss) e 1868 (sotto il segno di Riemann).
Beltrami inventò in effetti tre modelli, uno dei quali sviluppava una breve formula di Riemann. E' quello che sta all'origine della stampa di Escher che trovate qui sotto. Descrivo brevemente il modello. Il "piano" è l'interno di un disco di raggio uno. Le "rette" sono sgmenti di retta o archi di circonferenza che sono perpendicolari al bordo del disco. Basta fare un paiodi disegni per vedere che, in questa interpretazione, le proprietà (i) e (ii) valgono, mentre la proprietà (iv), il V postulato di Euclide, non vale. Per verificare la proprietà (iii) bisogna parlare di movimenti "rigidi", che conservano le distanze tra punti di una figura; quindi di distanza tra punti. Questo è un pò più tecnico e va la di là di un post che non vuol essere matematico. Basti, per avere un'idea, sapere che gli uccelli che Escher ha disegnato nel disco hanno, rispetto alla "distanza di Beltrami", esattamente le stesse dimensioni. Ai nostri occhi euclidei, che guardano al piano non euclideo di Beltrami da fuori, essi hanno invece dimensioni via via più piccole, mano a mano che vanno verso il bordo.
Ora, chiunque creda nella geometria euclidea (che ci dà il disco, gli archi e i segmenti) e sappia fare due conti con la distanza di Beltrami, può verificare che, all'interno del piano euclideo, abbiamo una famiglia di curve che verifica tutti i postulati della geometria non euclidea. Quindi, la geometria non euclidea non conduce a contraddizioni! (A meno che non sia la stessa geometria euclidea a essere contraddittoria, ciò che, ai tempi di Beltrami, nessuno credeva possibile).
In particolare, possiamo negare il V postulato di Euclide senza trovare mai nulla di assurdo: i tentativi di padre Saccheri, pur così fruttuosi in altro modo, erano in definitiva destinati al fallimento.
Il lavoro di Beltrami, in qualche modo, spostò completamente il centro del dibattito su euclideo/non euclideo. Entrambe le geometrie sono ugualmente coerenti e senza difetto logico: simul stabunt vel simul cadent. Il dibattito su quale delle due fosse la migliore e la più vera, quindi, non riguardava più la matematica; ma la filosofia, la fisica, la neurofisiologia. Infatti, a tutt'oggi c'è in queste discipline un continuo dibattito sulla geometria del cosmo (è ancora euclidea, alle scale ora osservabili), sulla geometria della Ragion Pura (e qui i filosofi guadagnano il loro stipendio disaccordandosi), sulla geometria con cui il nostro cervello percepisce e ordina il mondo là fuori, di per sé caotico e inconoscibile.

























PS Una proprietà della geometria non euclidea è che l'area dei cerchi cresce esponenzialmente col raggio (non solo col quadrato del raggio, come fanno modestamente i cerchi euclidei). Ciò torna utila a tutti quegli organismi che, come i coralli, hanno bisogno di esporre alla corrente grandi superfici, utilizzando poco volume. La formazione corallina dell'immagine che apre il post è, geometricamente parlando, un puzzle di frammenti di piano non euclideo, che in poco raggio sviluppano tanta superficie.

sabato 2 aprile 2011

Limericks e favole XI



Ebbe un'infanzia triste senza coccola,
quella gran bella verza, all'Alpe Noccola.
Nata in mezzo ai pomodori
e non con i cavolfiori,
le dicevan: "Sei la brutta e nana broccola".

dal mazapegul



venerdì 1 aprile 2011

I limericks



Il limerick è un componimento poetico dalla struttura rigida assai. Originario dell'Inghilterra, le sue radici sono oscure. Di sicuro si sa che il nome viene dall'omonima città di Limerick, in Irlanda. Nei limericks sia la metrica, che il contenuto devono soddisfare a delle prescrizioni.
Metrica. Il limerick si compone di cinque versi che rimano AABBA. I versi A sono più lunghi, quelli B più brevi. In un tipico limerick italiano si possono avere versi A endcasillabi (accento sulla decima sillaba) e versi B settenari (accento sulla sesta sillaba).
Contenuto. Il primo verso deve finire con un nome proprio di luogo, che dev'essere anche la fine dell'ultimo verso. Il primo verso presenta un personaggio; il secondo descrive la situazione di partenza; il terzo e il quarto sviluppano la vicenda; l'ultimo verso fornisce una morale o una conclusione.
Ecco un esempio:

Un diavolo sporchissimo di Dozza
mi ruba il maglione e me l’insozza;
ma io prendo il sapone
e lavo il mio maglione
e il diavolo ora pulito di Dozza.

Con tutta la sua rigidità, il limerick non può essere che ironico, spesso addirittura privo di senso comune. Ho letto dei limericks dal fondo agro, ma facevano comunque sorridere.
Una volta fissate le regole per comporre un limerick, è bello modificarle o violarle. Nei limericks e favole che trovate su questo blog le regole aggiuntive erano: (i) l'ultimo verso deve riprodurre, modificato in un paio di lettere al più, il titolo di una fiaba, su cui (ii) il testo del limerick deve avere qualche riferimento. E' più semplice comporre con dei versi pari (decenari, ottonari), piuttosto che con versi dispari.
Come spesso accade, è proprio la rigidità estrema ad aprire la pista alla fantasia, la costrizione a liberare la mente. Nell'assenza di vincoli, in piena libertà di forma, la gran parte di noi precipita immediatamente nell'ovvio e nello scontato. I ragazzi che scrivono sulle pensiline degli autobus i loro messaggi a pennarello vanno spesso poco al di là di un piatto "ti voglio bene", abbreviato in TVB, al più rafforzato in TVTB (ti voglio tanto bene) o TVTTB, e via T'aggiungendo. Il massimo di libertà coincide qui col minimo di liberazione. Fino a giungere al disperato (e disperante) "ti amo più del'aria che respiro", scritto evidentemente da persona che non mai sofferto d'asma, né ha provato il brivido dell'apnea in mare.
Scrivere liberamente in verso libero è cosa che riesce solo ai poeti. Avere dei vincoli, per noi comuni mortali, costringe invece a cercare in cataloghi poco frequentati di parole, a inventare, rabberciando rime sfuggenti da ogni parte, situazioni e storie che, pensandoci su liberamente, non avremmo mai immaginato.

Maestro dei limericks fu lo scrittore e illustratore Edward Lear (1812-1888), famoso soprattutto per i suoi nonsense verbali. I limerick illustrati qui sotto vengono dal suo LIbro del nonsense.



Per vivere, comunque, Lear faceva anche illustrazioni più sensate, anche se meno divertenti:


Ecco un bel sito italiano dedicato ai limericks, ricco anche di link. In rete ci sono alcune edizioni del Libro dei nonsense, con tanto di componimenti e illustrazioni.