sabato 12 marzo 2011

La ginestra giapponese



Nella più famosa e mossa tra le sue trentasei vedute del monte Fuji, Hokusai (Edo, 1760-1849) rappresentò il vulcano sullo sfondo di due onde di diversi metri, nell'avvallamento tra le quali due barche in evidente dificoltà cercano non colare a picco. La schiuma quasi grifagna che appare sulla cresta dell'onda maggiore tende come degli artigli verso i poveri pescatori, schiacciati sul fondo della barca per stabilizzarla ed evitarne un fatale ribaltamento.
Nella cultura giapponese, per quel pochissimo che ne conosco, l'uomo non è mai "l'uomo in sé" e nulla è mai per sempre. L'uomo è uomo nella comunità, la comunità è nella natura e la natura è in perpetuo movimento. Il senso della vita sta lì: stare nella comunità e nella natura; scoprire di essere natura e scoprire come stare nella comunità.
La natura è fonte di ogni bellezza e di ogni piacere, oltre che di sostentamento. E' anche pericolosa.
Una comunità saggia non può che accettare questo stato di cose e attrezzarsi, ridurre i rischi, prevenire il prevedibile scarto dalla norma (l'eruzione, il terremoto, il tifone), preparare il soccorso. Ogni persona deve sapere cosa fare.
Questo è ciò che abbiamo sinora visto nel Giappone scosso da un terremoto di magnitudo 8.9 e subito colpito dal conseguente maremoto. I grattacieli sono rimasti in piedi, le maestre hanno accompagnato le loro classi verso luoghi più sicuri predisposti nelle periodiche esercitazioni, le casalinghe hanno spento il gas prima di uscire di casa.
Non tutto era stato previsto. Una diga progettata per maremoti di minore entità ha ceduto e la parte bassa di un paese è scomparsa, insieme a tutti i suoi abitanti. In due centrali nucleari la reazione non s'è automaticamente spenta, il sistema di raffreddamento è stato danneggiato e si teme un processo di fusione del reattore fuori da ogni controllo.
Il danno, però, per quanto spaventoso, è assai minore di quello che terremoti con energia di ordini di grandezza inferiore ha causato a paesi meno previdenti.



Nel 1836, ospite di un amico a Torre del Greco, Leopardi scrisse La ginestra, una lunga canzone in versi sciolti ispirata all'eruzione vesuviana che aveva cancellato Ercolano e Pompei. Erano passati solo pochi anni da quando Hokusai aveva dipinto le sue vedute del vulcano Fuji. Partendo da una posizione pessimista (l'uomo soggetto ai capricci di una natura matrigna), assai diversa da quella che informa buona parte della civiltà giapponese, e con toni pieni di enfasi tutta europea, Leopardi giungeva però a conclusioni simili:
[...]Contra l’empia natura
Strinse i mortali in social catena;

di fronte all'enorme e spesso imprevedibile energia della natura, l'unica sicurezza -per quanto relativa- può essere raggiunta rafforzando i legami comunitari.

In Italia accadono spesso fenomeni naturali tutt'altro che imprevedibili: terremoti di media entità in zone sismiche, frane in zone franose, alluvioni causate da torrenti soggetti a piene periodiche. Spesso, questi eventi producono danni e tragedie al di là di ogni ragione. Passato il lutto e lo scandalo, in cui siamo maestri, mi accade poi di chiedermi: ma quella frana è stata messa in sicurezza, quel letto di torrente è stato ripulito dai detriti, quel patrimonio edilizio viene aggiornato secondo i più moderni criteri antisismici?
Si tratta di opere necessarie e vitali, che però danno poco lustro a chi le delibera, che non si prestano a un bel servizio in televisione. Il mio sospetto è che, spesso, questi lavori non vengano fatti, o che vengano fatti solo a metà. E che molti cittadini (e molti giornalisti), passato il momento dell'indignazione e del lutto, non s'interessino più della cosa. In attesa della successiva frana.

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