martedì 11 gennaio 2011

L'Unità d'Italia in un personaggio: Vito Volterra II


Dicevo di un rapporto incrinato tra italiani e monarchia, ma avrei dovuto dire di un rapporto incrinato tra gli italiani e l'élite liberale, di cui Volterra faceva parte a tutti gli effetti. La Grande Guerra, in Italia come nel resto d'Europa, ha accelerato alcuni processi (la politica di massa), ne ha innescati altri (la rivoluzione comunista in Russia, che sarebbe stato uno dei principali -e tragici- motori per la storia del secolo; la crisi degli imperi coloniali, le cui madrepatrie si trovano ora pesantemente indebitate), ha chiuso alcuni antichi capitoli europei (la fine dell'impero austroungarico e, con esso, delle ultime vestigia giuridiche del sacro romano impero; la fine, diversamente traumatica, dell'impero zarista).
Era uscito di scena Giolitti, che da conservatore (intelligente) e monarchico (scettico), aveva cercato di porre in equilibrio (in parte annullandole) le spinte delle neopoliticizzate masse cattoliche e socialiste sotto l'egemonia liberale. Nelle trincee e nei reparti d'assalto erano maturate nuove aggregazioni: l'Italia borghese, entrò in guerra, per così dire, disincantata e ancora gozzaniana, ne uscì vacuamente retorica e dannunziana. Il re e gran parte dei liberali si schierarono con Mussolini, che, senza che il primo avesse niente da dire, si sarebbe disfatto dei secondi. (Volterra, però, fu sempre nel gruppo dei liberali avversi al fascismo).
Volterra, nel frattempo, si occupava della scienza e della sua organizzazione. Dal 1919 si sforza di far istituire una sezione italiana del Consiglio Internazionale delle Ricerche, che sarà chiamata infatti Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR): vi riesce nel 1923, diventandone anche il primo presidente.
Nel 1925 Giovanni Gentile fa pubblicare il Manifesto degli Intellettuali Fascisti, che dovrebbe fare una sintesi delle basi culturali e ideologiche del fascismo. Serve anche, all'idomani del sequestro e assassinio del deputato socialista Matteotti, a riprendere il controllo dell'immagine del fascismo all'esterno dell'Italia. Su invito di Giovanni Amendola, Benedetto Croce scrive un Manifesto degli Intellettuali Anti-Fascisti, che esce simbolicamente il primo maggio dello stesso anno, con la firma di numerosi intellettuali e scienziati, tra cui Vito Volterra. (Il matematico Salvatore Pincherle, di poco più vecchio di Volterra, con simili interessi scientifici e, come Volterra, nato in una famiglia ebrea, aveva invece firmato il manifesto gentiliano).
E' anche per la sua opposizione al fascismo tranquilla e istituzionale, ma senza nessun cedimento, che Volterra viene sostituito nel 1927 alla guida del CNR da Marconi: il più fascista tra i grandi scienziati italiani (o il più grande tra gli scienziati fascisti). Nel 1931 è uno dei quattordici docenti universitari che rifiutano il giuramento di fedeltà al fascismo e viene quindi allontanato dall'università e da gran parte delle cariche che ricopriva nelle istituzioni scientifiche italiane. Il regime lo sottopone anche a sorveglianza, in Italia e all'estero. Diventa quindi scientificamente apolide, passando gran parte del tempo a Parigi e in altri centri scientifici mondiali.
Nel 1938, con le leggi razziali, viene espulso dalle ultime istituzioni scientifiche di cui are membro in Italia:
”...a datare dal 16 ottobre u.s. avete cessato di
far parte, quale Socio Corrispondente, di questo Reale Istituto, in quanto Voi appartenete a razza non ariana”.
(Ricevuta dal Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere.)
(All'Istituto di Matematica di Bologna, dopo le leggi razziali, fu tolta l'intitolazione a Pincherle, che pure era stato fascista).
Gli rimasero onori e cariche organizzative all'estero, ovviamente. Anche nella penisola: alla sua morte, fu commemorato in Italia dalla sola (extraterritoriale) Pontificia Accademia delle Scienze, di cui era stato invitato a far parte sin dal 1936. Alla fine della sua vita, Volterra veniva riconosciuto dal solo Stato della Chiesa, in cui era nato tanti anni prima cittadino con diritti dimezzati.
Nel 1944, un ufficiale tedesco si recò a casa sua per tradurlo in un campo di sterminio; ma Volterra era morto, ottantenne, già nel 1940.

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