sabato 8 gennaio 2011

Calzini matematici II

Basta prendere tre calzini: due potrebbero essere di colori diversi, tra tre almeno due devono essere dello stesso colore.
Qualche giorno fa avevo posto a mia figlia il problema dei calzini. Credo di averglielo proposto in precedenza, uno o due anni fa. Lei m'ha dato prontamente la risposta esatta, poi ci ha pensato su un attimo e m'ha detto: "se le calze nel cassetto fossero di tre colori, basterebbe prenderne quattro; se fossero di cinque, sei e così via... Basta prendere una calza in più del numero dei colori."
Ci ho pensato su e ho capito che quello che diceva è corretto. Non so se abbia pensato alla generalizzazione del problema lì al momento, o se ci avesse pensato prima, o se ne abbia discusso con i suoi amichetti, o se l'abbia letta da qualche parte: i bambini tendono a essere assai evasivi quando si chiede loro di come pensano qualcosa e perché la pensano; probabilmente perché non capiscono il motivo di questo livello di riflessione, o perché questo tipo d'indagine li mette a disagio.

La piccola discussione in famiglia m'ha fatto pensare agli stimoli che i bambini ricevono da noi adulti e a come questi stimoli li possano aiutare (a porsi dei problemi, a vedere il mondo con maggior interesse, ad avere una vita interiore più ricca) o ostacolare. In che senso, ostacolare?
A volte gli adulti stimolano consapevolmente i fanciulli e si aspettano una risposta immediata allo stimolo: una comprensione in un tempo dato (come nei quiz televisivi) di quello che abbiamo in mente. Questa è la norma a scuola, necessariamente: una molteplicità di ragazzini, tutti diversi tra loro, devono reagire in tempi uniformi agli stimoli che gli insegnanti vanno ponendo, poiché l'organizzazione del tempo scolastico e i numeri delle classi non permettono che l'insegnante si adegui al tempo di ogni singolo bambino (lo farà con i ragazzini che, per un motivo o per l'altro, escono di molto dalla media della classe). Per fortuna, anche a scuola gran parte degli insegnanti ricavano degli spazi in cui gli stimoli possono essere recepiti secondo i naturali tempi mentali dei bambini, più che secondo i tempi del metronomo ministeriale.
Anche noi genitori (e zii, nonni, fratelli maggiori...) abbiamo a volte la tentazione di impostare "scientificamente" la stimolazione dei bambini, come se la casa fosse il prolungamento della scuola. (Mi sono spesso pentito di alcune mie scelte in questo senso).
Gli stimoli dovrebbero servire, infatti, a permettere a ogni fanciullo di esprimere (quindi di formare) la propria personalità. Alcuni di questi stimoli trovano pronta ricezione, altri vanno perduti, altri ancora rimangono in apparente dormienza e ritornano a galla quando meno ce lo aspettiamo: sono in genere quelli che, al di là delle nostre intenzioni, risultano essere più fruttiferi. Uno stimolo sepolto e germogliato a nostra insaputa vale doppio, soprattutto, per il fanciullo, emotivamente.
La mia esperienza da adulto, del resto, conferma l'esperienza che vedo fare ai più piccini. L'apprendimento è fatto di tentativi ed errori e, soprattutto per le cose più difficili e nuove, sapere quando non pensarci è importante tanto quando sapere quando pensarci; dimenticare è altrettanto importante che ricordare. Costruire un pensiero nuovo, spesso, richiede di dimenticare dei pensieri vecchi.
Per diversi anni mi sono occupato di un certo problema con dei colleghi, senza mai riuscire a risolverlo. Ogni volta che ci provavamo, andavamo automaticamente verso una certa complessa strategia di soluzione che, sapevamo bene, in linea di principio non poteva funzionare. Eppure, quella strategia sbagliata era sempre il nostro punto di partenza, che cercavamo invano di aggiustare. Per un paio d'anni lasciammo il problema da parte: troppo difficile. Una volta che c'incontrammo per discutere di altri problemi, decidemmo di riguardare anche a quello abbandonato tempo prima. La notte prima dell'incontro, in albergo cercai di ricostruire la formulazione esatta del quesito, che non ricordavo. Dopo qualche tentativo a vuoto la trovai e, con essa, la soluzione del problema: una paginetta di conti elementari, con alla base un'idea semplice. Avendo dimenticato l'idea sbagliata, l'idea giusta s'era fatta strada da sola, in tutta la sua naturalezza.

Un altro pensiero legato al problema dei calzini e allo sviluppo ad esso dato da mia figlia rigurda la possibilità di generalizzare un problema specifico a una classe più larga di problemi (cioè, di costruire una teoria). Importante è anche il movimento opposto, in cui -per aiutarsi a costruire una piccola teoria- ci si dirige verso degli esempi, possibilmente i più semplici. Ci sarà modo di parlarne altrove.

Quanti calzini occorre tirare fuori dal cassetto per essere sicuri di avrne due bianchi? Questo secondo problema, simile al primo nella formulazione, è però del tutto diverso nella soluzione. Per esempio, la risposta al secondo quesito dipende da quanti calzini bianchi e quanti calzini neri ci sono nel cassetto, mentre la soluzione del primo quesito è quasi del tutto indipendente da questi dati.

Nessun commento:

Posta un commento