martedì 28 dicembre 2010

Appunti su Galileo 3


Breve cenno sulla vita e sulla personalità. Molto si sa e molto si è discusso sulla personalità di Galileo Galilei. La curiosità è naturale e si tratta anche di informazioni importanti. Il ricercatore arriva alla ricerca nel contesto del suo tempo, con le sue opportunità e i suoi condizionamenti (culturali e religiosi, ma anche economici, sociologici); ci arriva con la sua storia famigliare e con una lingua: ci arriva, però, anche con la sua personalità, con le sue personalissime idiosincrasie, con la sua maggiore o minor tenacia, con una personale varietà di spinte e ambizioni.
Ci sono in giro diverse biografie: io ho letto quella di Ludovico Geymonat (Galileo Galilei, Torino 1957, ed. Einaudi) e traggo da quella e da altro materiale trovato in rete le poche notizie che seguono.
Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564, figlio di un musicista (esecutore e compositore, ma anche teorico), rampollo di una famiglia fiorentina alquanto decaduta. Avviato dal padre ai remunerativi studi di medicina, non arrivò al conseguimento del titolo, preferendo gli studi di matematica, che svolse -all'inizio di nascosto- sotto la guida di Ostilio Ricci, un discepolo di Nicolò Tartaglia.


Alla morte del padre, 1591, Galileo insegnava a Pisa con un malpagato contratto triennale, ottenuto in seguito ad alcune scoperte tecniche e ai suoi primi lavori originali (tra i quali spicca uno studio della geografia infernale in Dante). Alla morte del genitore, Galileo ereditò il ruolo di responsabile e garante delle vicende famigliari; un carico pesante che lo avrebbe seguito per tutta la vita. Fino all'epoca contemporanea, lo stato aveva un ruolo marginale nella vita sociale e l'individuo aveva, generalmente, ben poca libertà di manovra, rispetto ai nostri standard. Il ruolo oggi svolto dallo stato nella vita dei cittadini apparteneva largamente alla Chiesa, mentre il destino dell'individuo -almeno da un certo livello sociale in su- era largamente predestinato dalla sua posizione nella famiglia; spesso una famiglia assai allargata, con specifici interessi, con un decoro costoso e un oneroso senso dell'onore.
Galileo dovette far fronte alla dote per le due sorelle e sostenere il fratello e i suoi figli. Per fare tutto questo, s'indebitò pesantemente. Ciò contribuì a indirizzarlo in seguito a scegliere il datore di lavoro economicamente più generoso, mettendo in secondo piano considerazioni di altro tipo, come la libertà e la sicurezza nel ricercare e nell'esporre i risultati delle proprie ricerche. Galileo, però, queste libertà se le prenderà comunque, finendo, come ben noto, nella rete del Sant'Uffizio.
Nel 1592, Galileo assunse l'incarico di professore di matematica all'Università di Padova, alle dipendenze dell'antica e, per così dire, imperfettamente italiana Repubblica di Venezia. Vi rimarrà diciotto anni, quelli più produttivi della sua vita in termini di ricerca, se non di pubblicazioni; con stipendio, mansioni e carichi didattici crescenti. Tra le mansioni, di particolare importanza fu quella di consulente scientifico per l'Arsenale.

A Padova, Galileo mise su una "famiglia di fatto" (ciò che, all'epoca, era tutt'altro che inusuale) con Marina Gamba, da cui ebbe due figlie (che non riconobbe mai) e un figlio. Si curò di tutti, anche se -per quanto riguarda le figlie- in maniera crudelmente egoistica. Le fece recludere in un monastero alquanto povero e dimesso e le obbligò, di fatto, a prendere i voti a sedici anni; senza curarsi troppo che avessero o meno una vocazione a farlo. Anche questo era abbastanza comune nelle famiglie di anche minimo nome tra Cinque e Seicento: le doti per le figlie femmine pesavano assai sul patrimonio famigliare, e troppi figli maschi maritati potevano parcellizzarlo oltre una onorevole misura. Dietro alle figlie in soprannumero si chiudevano le porte della clausura, mentre ai maschi veniva indicata la carriera ecclesiastica.
Virginia (1600-1634), la figlia maggiore (quella del ritratto qui sopra), gli rimase però affezionata per tutta la vita, trovando anche la via di una sincera vocazione monacale. Quando morì, Galileo ne risentì grandemente. Livia, la seconda figlia, non perdonò mai al padre di aver scelto per lei il monastero.

Durante la sua lunga vita, Galileo non cessò mai di interrogarsi sulle leggi della natura (di "interrogare la natura", diceva), di scrivere i risultati delle sue indagini, di comunicarle a quante più persone possibili (usando spesso, a questo scopo, la lingua italiana, non il latino accademico degli scienziati suoi contemporanei). Era integralmente uomo: con difetti e debolezze, con astii e sospetti, con una certa tendenza a non considerare con piena attenzione la scienza prodotta da altri. Tutto ciò, però, non lo distolse mai più che tanto dai suoi obiettivi; sapere, indagare, capire, chiarire, connettere, precisare, dialogare, mettere in discussione (anche i propri risultati). Più che obiettivi, si può dire che questa fosse una modalità di vivere e agire, che lui -in maniera piuttosto consapevole- proponeva come "metodo" per la scienza nascente e per i suoi cultori. Una libertà laboriosa e critica, responsabile verso di sé e verso gli altri, fatta di lavoro individuale e di senso (critico e dialogante) della comunità: comunità dei ricercatori, ma anche comunità con gli artigiani "di finissimo discorso", comunità col popolo cittadino, comunità con la sapiente Chiesa romana.

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