venerdì 17 dicembre 2010

Una pietà a Dozza


la pietà in esposizione alla rocca

Nicola

Ieri sera è stato presentato a Dozza un libro di Roy Doliner (un'eclettica auto-presentazione dello scrittore e critico americano la trovate in www.roydoliner.com/bio.html) su un bellissimo e importante gruppo di terracotta, una pietà rinascimentale e romana. La tesi del libro è che si tratti dello studio realizzato dal giovane Michelangelo in preparazione della famosa pietà marmorea in S. Pietro e nella serata di ieri, briosa e variegata, diversi elementi sono stati portati a favore.
Più importante ancora è il fatto che la statua sarà visitabile nei locali della rocca di Dozza fino a domenica: una bella occasione per tutte le persone curiose dell'arte, della storia, o anche solo del bello in sè. La rocca, tra l'altro, offre alla statua il migliore degli scenari.

Pur non sapendo nulla di arte, ho cercato almeno di capire alcune coordinate della disputa riguardante l'attribuzione della pietà in questione. Questa s'inserisce nel percorso che dalla tradizione nordica e medioevale delle vesperbilt (pietà) giunge sino alle pietà di Michelangelo; in particolare a quella prima e giovanile che si trova in S. Pietro a Roma. Ecco qui sotto una commovente pietà borgognona di metà del '400, già fuori dal medioevo, ma apparentemente incurante di voler parere latina.


pietà borgognona, circa 1450, (foto di Brian J. McMorrow)

Detto tra parentesi, anche degli italiani, e italiani che erano stati a Roma a studiare le statue e gli affreschi antichi, finirono col preferire l'espressività anticlassica del Nord Europa. Particolarmente coerente in questa ricerca fu il bolognese Amico Aspertini, che si cimentò in pittura (e con una scultura) col tema della pietà e del compianto, senza timori reverenziali verso l'egemone stile centroitalico.


pietà di Amico Aspertini in S. Petronio, Bologna, 1519

Tornando al nostro gruppo, va a merito dell'anonimo collezionista aver riconosciuto in una terracotta devastata da secoli di approssimative riverniciature un oggetto di gran valore. Infatti, in un libro uscito nel 2007, la storica dell'arte Giuliana Gardelli proponeva per la pietà esposta a Dozza l'attribuzione ad Andrea Bregno (Val d'Intelvi, 1418 circa – Roma, settembre 1503: un mastro comacino, quindi, di quelli che da secoli avevano corso la pianura padana costruendo e scolpendo, e che avrebbero continuato a farlo: il nostro imolese Cosimo Morelli era figlio d'un mastro comacino). Il Bregno si sarebbe così fatto terminale di una tradizione nordica, che avrebbe poi passato al giovane Michelangelo; che da quel gruppo -che traduceva in latino la meditazione tedesca sulla morte del Cristo e sulla relazione tra Madre e Figlio-avrebbe tratto ispirazione per la pietà vaticana. Un'intervista alla Gardelli si trova in http://blog.riviera.rimini.it/antonio_montanari/.


la pietà di Michelangelo a S. Pietro, circa 1497-99

Quindi abbiamo la successione:
vesperbild nordiche -> terracotta del Bregno -> pietà di Michelangelo.
Una prova documentaria utilizzata dalla Gardelli è una lite giudiziaria tra due eredi di Michelangelo, da cui sappiamo che il Buonarroti possedeva la pietà in teracotta; che avrebbe quindi ricevuto in dono dal Bregno.
Ora, Doliner propone di interpretare diversamente lo stesso documento utilizzato dalla Gandolfi. La pietà in terracotta sarebbe un modello realizzato dallo stesso Michelangelo, uno schizzo tridimensionale in preparazione della pietà marmorea del Vaticano. La serie, secondo Doliner, sarebbe quindi:
vesperbild nordiche -> terracotta del Michelangelo -> pietà di Michelangelo.
Oltre al già utilizzato documento testamentario, Doliner s'avvale di alcuni indizi tecnoscientifici (datazione al carbonio, analisi delle terre utilizzate...).

Qualcuno potrebbe essere stimolato dall'esposizione della pietà contesa ad andare a vedere quello che di Michelangelo si conserva a Bologna.
A S. Domenico, sull'Arca contenente le ossa del santo, vi sono tre statue del giovane Michelangelo: un angelo di poco volatile muscolatura e due statue di santi. (Un interessante esercizio per chi volesse visitare l'Arca: riconoscere le statue di Michelangelo in mezzo a quelle, anco stupende, di Niccolò dell'Arca).

Michelangelo, angelo di destra sull'Arca di Niccolò, S. Domenico a Bologna, 1494-95 (foto di Marco Ravenna)

Come scolpiva il Bregno? In rete si trovano diversi sui lavori. Ne riporto qui sotto uno (ancora quasi gotico il modo di sedere della figura centrale), la cui immagine era di buona qualità.


San Pietro in Vincoli, Andrea Bregno, 1465

Il lavoro degli storici dell'arte, soprattutto nella loro funzione di attribuire un'opera a questo o a quell'autore, è un mestiere dalla epistemologia particolarissima; simile a quella delle altre scienze che si occupano di fenomeni irripetibili e non ricostruibili, che conosciamo solo attraverso una rete d'indizi. E' un lavoro investigativo dove tecnica e sensibilità si mescolano in maniera indistricabile. Una nuova tecnologia può confutare definitivamente un'attribuzione (con una datazione precisa, o l'analisi di un materiale), ma quasi mai la può confermare con certezza. Alla fine di una lunga e laboriosa istruttoria, il giudizio finale è affidato a un quasi impalpabile intuito. (Quando riconosciamo un volto tra mille, del resto, fcciamo proprio questo, nel nostro piccolo; e non si sa ancora bene come riusciamo a farlo, a livello neurologico).
E' un pò come il lavoro del paleontologo, che assegna un osso a una specie e inserisce questa in un rado albero (o un cladogramma) di specie definite da altrettanto scarsi resti ossei. O come il filologo che ricostruisce la corretta cronologia e diramazione di un testo conosciuto attraverso diversi codici manoscritti. O come il medico legale, che deve ricavare una storia credibile "al di là di ogni ragionevole dubbio" da parte di una giuria popolare.
Sono mestieri in cui, in definitiva, quello che conta è il prestigio dell'esperto, che produce il consenso della comunità degli altri studiosi. Un prestigio fatto di esperienza, di studi, di intuito e di una deontologia professionale a prova di ogni possibile sospetto.


Elisabeth Daynès ricostruisce il volto di un ominide

5 commenti:

  1. Caro Nicola, grazie per questo tuo ricco approfondimento sulle Pietà.
    Vorrei solo aggiungere una curiosità: nella splendida Madonna della Febbre... (a proposito perchè si chiama così?) sono stati modellati anche i piedi della Madonna... mi sembra inusuale e azzardato per essere un opera del quattrocento....
    visto che non ho partecipato alla presentazione del libro di Roy Doliner, volevo chiederti se ne avevi sentito parlare. Grazie e ancora complimenti CLaudia P.

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  2. Ciao Claudia. Non s'e' parlato di questo aspetto, finche' sonpotuto rimanere li'. A me la madonna sembra la parte più "romana" della scultura (ma e' un'impressione da super-profano).
    Non so perche' si parli di "madonna della febbre": c'e' un santuario con questo nome nel comasco, ma non c'entra nulla.
    Ciao e buon Natale,
    Nicola

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  3. Mi intrufolo nella discussione solo per far notare che la terracotta non può essere attribuita né a Michelangelo né ad Andrea Bregno perché, oltre a non essere stilisticamente affine alle opere realizzate dai suddetti, non è neanche una scultura rinascimentale. Si tratta infatti di una terracotta seicentesca, di non particolare qualità, che ha come modello la Pietà dipinta da Annibale Carracci a Roma (1598-1600), conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli.

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    1. Leggo con anni di ritardo. Il Carracci, dicono documenti conservati a Bologna, aveva dimistichezza con un gruppo in terracotta conservato in una cappella a Bologna. Se questo fosse il gruppo, la successione delle opere andrebbe invertita. (In un documentario vengono mostrate in successione il quadro del Carracci e la scultura: soprattutto la figura di Cristo appare ispirata a uno stesso modello, infatti.) Mazapegul

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  4. signori non diciamo scemenze... questa statuetta, come già rilevato, è una riproduzzione della pietà di carracci... la terrocotta cui fa riferimento l'ultimo post - che appunto parla di gruppo - il grande gruppo di nicolo dell'arca che con questa stautetta non c'entra nulla

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